Gaming, intrattenimento e disabilità: una combinazione di ambiti quantomeno inusuale. Eppure, quando accessibili, videogiochi ed e-sport possono diventare strumenti di apprendimento, socializzazione, partecipazione e intrattenimento proprio per chi vive con una disabilità. In certi casi, fondamentali per la comunicazione, l’autorealizazzione, lo studio. Una conferma arriva a fine del primo road show italiano organizzato dalla Fondazione ASPHI Onlus e Fondazione FightTheStroke, una sperimentazione diretta della validità dell’inusuale connubio.
Se è chiaro il ruolo che tecnologia e innovazione svolgono nella quotidianità di tutti noi, molto meno esplorato è l’apporto dei videogiochi sulla vita delle persone con disabilità – permanente o temporanea. Partendo dal concetto di diritto al gioco, in realtà, non è troppo difficile comprendere l’impatto della componente (video)ludica sui percorsi di riabilitazione e crescita, in particolare se si guarda alla giovane età, e di autonomizzazione. E, allargando lo sguardo, capire anche come possa incidere sulla socialità, l’inclusione e l’intrattenimento.
Videogiocare: imparare e divertirsi
Il progetto pilota di FightTheStroke e ASPHI, facendo videogiocare oltre 70 partecipanti durante le diverse iniziative in giro per le città italiane, ha fatto incontrare famiglie e operatori e fatto scoprire i potenziali benefici del gaming digitale. La settimana scorsa, nel momento conclusivo “Gaming e disabilità: la tecnologia come strumento di inclusione” (con il sostegno di Lenovo Foundation e Fondazione Mazzola), dai “campi di gioco” si è passati al palco di Milano durante la Games Week. Una cornice anche questa inusuale, dove si è fatta luce sulle potenzialità del videogioco – integrato sì alle terapie più “tradizionali”, ma anche per la sua natura ludica.
Reso accessibile e, specialmente “Per certe condizioni di disabilità motorie – confermano da FightTheStroke –, (il videogioco) può affiancarsi alla riabilitazione per rafforzare lo sviluppo” cognitivo e sensoriale. E “favorire la scoperta e l’uso di strategie, ausili e strumenti digitali assistivi, fondamentali per lo sviluppo di competenze”, con un impatto importante anche nell’esercizio della concentrazione, per esempio.
Per avere un quadro più chiaro della situazione e dei confini esistenti, è interessante guardare ad alcuni numeri. “In Italia più del 70% delle persone con disabilità dichiara di non svolgere attività significative di partecipazione sociale e si dice poco o niente soddisfatto della qualitativi del tempo libero (dati Istat, 2021). Questa limitazione è legata, in gran parte, a barriere di accessibilità alle attività culturali, sportive, associative” (dati FightTheStroke). Inoltre, “solo il 59% delle persone con disabilità lievi o moderate ha accesso a internet. Percentuale che diminuisce al 36% per le persone con limitazioni gravi”. Non è difficile comprenderlo: per molti italiani, l’esclusione da strumenti che hanno facilitato e stano ridisegnando i nostri confini lavorativi, sociali e di intrattenimento, passa anche dalla mancanza di conoscenza della disponibilità dei dispositivi.
Lo conferma Francesca Fedeli, presidentessa della Fondazione FightTheStroke, «gli strumenti software ci sono già. La maggior parte dei programmi o piattaforme ha una versione accessibile, spesso gratuita. Lo sviluppo è più orientato sugli hardware per permettere a persone con disabilità – anche temporanea – di utilizzare al meglio quei software». Soprattutto, però, «manca la conoscenza delle possibilità da parte delle famiglie, la consapevolezza e la formazione degli operatori».
Far conoscere e formare
Se il limite pratico di progettare gli strumenti adatti è in certo modo superato attraverso attività di co-design, la sfida è trovare un’ottica di sistema. Partendo dall’informare e formare anche i professionisti coinvolti, istruendoli sull’accessibilità dei dispositivi, in molti casi prescrivibili, come chiarisce Nicola Gencarelli, di Fondazione ASHPI. «All’interno del nomenclatore degli ausili e protesi del Ministero della Salute, sono elencate anche le tecnologie digitali assistive: strumenti informatici che possono supportare le persone con disabilità per lo studio, la vita autonoma, il lavoro, il tempo libero e anche il gioco. Quindi un medico specialista che ha in cura una persona con disabilità ha facoltà di prescrivere anche strumenti digitali se questi possono essere di supporto ad attività significative per la persona con disabilità».
Ammettiamolo, l’associazione videogiochi e disabilità continua a essere contornata da una patina di sospetto. Basti pensare quanto sia ancora taboo associare il videogaming alle offerte formative nei percorsi standard delle scuole dell’obbligo. Anche per questo allora l’iniziativa di FightTheStroke e Fondazione ASPHI ha un significato importante. Usando strumenti adatti, offrendo un campo di gioco alla pari, le diverse parti si sono messe a confronto avviando così una (nuova) interpretazione del gaming digitale.
Il videogioco interviene sulla qualità della vita delle persone, in ambito educativo, di stimolazione e riabilitazione, da una parte. Dall’altra, come elemento ludico e di intrattenimento. Conferma Fedeli: «Come punto di riferimento per le persone con disabilità di paralisi cerebrale in Italia, siamo orgogliosi di aver promosso quest’alleanza e dimostrato che ognuno può giocare a modo suo, adattando il contesto di vita ed eliminando le barriere, anche grazie all’utilizzo saggio della tecnologia. Le sperimentazioni portate a termine durante tutto l’anno ci hanno permesso di rivendicare il diritto alla comunicazione dei bambini con disabilità e la promozione del gaming per l’apprendimento, la socialità, la pratica sportiva».
Adattare
Svolgiamo attività quotidiane sempre più spesso utilizzando una qualche forma di gaming – Pensiamo a come impariamo le lingue o visitiamo musei o città. Perché allora non normalizzare l’uso dei videogiochi anche nell’ambito della disabilità, rendendoli un’alternativa economicamente accessibile? La tecnologia è adattabile e già esiste. «Serve creare conoscenza e fare formazione e lavorare in un’ottica di sistema», continua la presidentessa della Fondazione FightTheStroke. E una prospettiva in cui, attraverso strumenti adatti per necessità specifiche, l’attività video-ludica su un campo di partenza equilibrato, diventi una di completamento di una vita attiva.
Aggiunge Nicola Gencarelli: «Per alcune persone con disabilità complesse, in particolare, videogiocare con gli altri significa abitare un mondo condiviso dove si parte alla pari e dove si può essere protagonisti di una storia, fare delle scelte e collaborare.» Senza contare poi che «il videogioco spesso rappresenta anche l’occasione per bambini e bambine con disabilità di conoscere e familiarizzare con tecnologie e ausili digitali che saranno fondamentali anche per la comunicazione, lo studio, il controllo della casa, e in generale la vita. Il gioco, si sa, è una cosa seria.»
Se interessati a saperne di più:
Fondazione FightTheStroke.org
Fondazione ASPHI Onlus