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Miglior articolo quotidiano di Monica D’Ascenzo ai Diversity Media Award, 29/5/2024

Una legge delega in attesa dei decreti attuativi e un tavolo tecnico per l’analisi e la definizione di elementi utili per una legge sui caregiver familiari. Sono queste le due iniziative in atto in tema di persone con disabilità, che tornano all’ordine del giorno il 3 dicembre, in occasione della giornata internazionale per le persone con disabilità.

Nel primo caso si tratta della legge delega 22 dicembre 2021, n. 227, che è stata approvata nell’ambito della Missione 5 del Pnrr, che prevede esplicitamente la Riforma 1 denominata “Legge quadro sulle disabilità”. Il Governo dovrà adottare, entro il 15 marzo 2024, i decreti legislativi per la revisione e il riordino delle disposizioni in materia di disabilità per garantire il riconoscimento della propria condizione, anche attraverso una valutazione congruente, trasparente e agevole che consenta l’esercizion dei diritti civili e sociali, compresi il diritto alla vita indipendente e alla piena inclusione sociale e lavorativa, nonché l’effettivo e pieno accesso al sistema dei servizi, delle prestazioni, dei trasferimenti finanziari previsti e di ogni altra relativa agevolazione. Inoltre di promuovere l’autonomia della persona con disabilità e il suo vivere su base di pari opportunità, nel rispetto dei principi di autodeterminazione e di non discriminazione.

 

L’iniziativa del tavolo tecnico prevede invece che sia affrontato il tema dei caregiver, familiari che si occupano, spesso a tempo pieno, delle persone con disabilità e che per questo lasciano anche il lavoro. In prevalenza si tratta di donne (74%) e di una età compresa fra i 46 e i 60 anni (38%), mentre il 31% ha meno di 45 anni. Le caregiver senza stipendio prima e senza una copertura previdenziale poi, rischiano di dipendere economicamente dal marito o dal compagno e sono destinate ad entrare nel circuito assistenziale. Da anni ci si attende novità in questo ambito. A tutela dei caregiver vi è solo la legge 104 che risale al 1992 che concede 3 giorni di permesso al mese, il congedo straordinario fino a 2 anni per i casi più gravi e comprende la pensione anticipata.

Il nodo dei dati

Parte dal monitoraggio dei dati (e che siano certi) il percorso per costruire una società in grado di assicurare una parità di opportunità e di uguaglianza per le persone con disabilità. Proprio per questo diventa fondamentale il monitoraggio periodico dell’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità, istituito dalla legge 3 marzo 2009, n. 18, con funzioni consultive e di supporto tecnico-scientifico per l’elaborazione delle politiche nazionali in materia di disabilità.

Dell’Osservatorio fa parte anche l’Istat sin dalla sua costituzione, rappresentata dal dirigente di ricerca Alessandro Solipaca, che il prossimo 6 dicembre presenterà una nuova relazione: «Le attività dell’Osservatorio nazionale sulle persone con disabilità sono finalizzate ad affrontare le tematiche centrali nel processo di inclusione delle persone con disabilità: accessibilità universale; progetto di vita; istruzione, università e formazione; lavoro; benessere e salute. Si tratta delle principali condizioni abilitanti per una vita autonoma e inclusiva, che costituisce l’impegno che il nostro Paese ha assunto sottoscrivendo la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità».

Alcuni dati sono già disponibili, dall’audizione sulla legge di Bilancio 2023. In quell’occasione Istat ha presentato il monitoraggio realizzato con il primo prototipo di registri sulla disabilità, che integra dati di natura amministrativa. In base alle risultanze del registro gli italiani, a cui è stata rilasciata una certificazione o erogata una pensione o una indennità legata alla disabilità nel 2021, sono 7.658.000, con un’incidenza sulla popolazione del 13%. Di questi 450mila sono minori, 2.968.000 hanno tra i 18 e i 64 anni e 4.245.000 sono over 65 anni. Proporzioni che rendono evidente come in un Paese in continuo invecchiamento, sia inevitabile un aumento delle persone con disabilità nel prossimo futuro. 

Per dipanare la matassa dei dati e della loro fruibilità è nata anche un’iniziativa in seno al terzo settore: nel 2022 la Fondazione Fightthestroke ha lanciato il progetto Disabled Data che rilascia una prima mappatura accessibile, per agevolarne la lettura, l’analisi e la messa a disposizione. «Non sapere ancora quante sono le persone con disabilità in Italia vuol dire non poter vigilare sull’appropriatezza degli interventi per migliorare la qualità di vita, abbiamo bisogno di dati migliori per promuovere politiche migliori, solo attraverso un’adeguata rilevazione e messa a disposizione dei dati possiamo individuare le barriere che determinano gli svantaggi per un numero crescente di persone» osserva Francesca Fedeli, fondatrice della Fondazione, che intende collaborare con Istat per rilasciare nel 2024 i primi prodotti del Registro sulle Persone con Disabilità.

Gli stanziamenti

Una questione che rende urgente affrontare anche gli stanziamenti di investimenti per poter far fronte alla situazione. Dal confronto internazionale riguardo al sistema di investimenti emerge, infatti, come l’Italia abbia stanziato sempre nel 2021 30 miliardi di euro per l’assistenza, pari all’1,7% del Pil, che si confronta con una media per i 27 Stati Ue del 2,1%. Anche nel calcolo della spesa pro capite a parità di potere d’acquisto risultiamo sotto la media dell’Unione Europea: 471 unità pps per l’Italia contro 623 unità pps dell’Ue.

Se si va poi a vedere la percentuale sulla spesa complessiva sociale del nostro Paese, la spesa alla voce disabilità pesa per il 5,3% sul totale, contro una media europea del 7,8%. Di questi stanziamenti il 94,5% è erogato attraverso trasferimenti economici, mentre il restante 5,5% attraverso servizi alla persona. In Ue, in media, la percentuale dei trasferimenti economici è leggermente più bassa: 86,8 per cento.

«Mancano cronicamente le risorse per coprire le istanze delle persone con disabilità. Ad esempio, parlando di occupazione le aziende hanno incentivi per l’assunzione di persone con disabilità con coperture che arrivano anche al 70% per 36 mesi. Il fondo, però, è limitato e le risorse si esauriscono ogni anno verso aprile» sottolinea Carlo Giacobini, membro del comitato scientifico della Consulta per le persone in difficoltà di Torino.

Alley Oop: Gaming e disabilità: riabilitazione, ma anche intrattenimento e socialità

Gaming, intrattenimento e disabilità: una combinazione di ambiti quantomeno inusuale. Eppure, quando accessibili, videogiochi ed e-sport possono diventare strumenti di apprendimento, socializzazione, partecipazione e intrattenimento proprio per chi vive con una disabilità. In certi casi, fondamentali per la comunicazione, l’autorealizazzione, lo studio. Una conferma arriva a fine del primo road show italiano organizzato dalla Fondazione ASPHI Onlus e Fondazione FightTheStroke, una sperimentazione diretta della validità dell’inusuale connubio.

Se è chiaro il ruolo che tecnologia e innovazione svolgono nella quotidianità di tutti noi, molto meno esplorato è l’apporto dei videogiochi sulla vita delle persone con disabilità – permanente o temporanea. Partendo dal concetto di diritto al gioco, in realtà, non è troppo difficile comprendere l’impatto della componente (video)ludica sui percorsi di riabilitazione e crescita, in particolare se si guarda alla giovane età, e di autonomizzazione. E, allargando lo sguardo, capire anche come possa  incidere sulla socialità, l’inclusione e l’intrattenimento.

Videogiocare: imparare e divertirsi

Il progetto pilota di FightTheStroke e ASPHI, facendo videogiocare oltre 70 partecipanti durante le diverse iniziative in giro per le città italiane, ha fatto incontrare famiglie e operatori e fatto scoprire i potenziali benefici del gaming digitale. La settimana scorsa, nel momento conclusivo “Gaming e disabilità: la tecnologia come strumento di inclusione” (con il sostegno di Lenovo Foundation e Fondazione Mazzola), dai “campi di gioco” si è passati al palco di Milano durante la Games Week. Una cornice anche questa inusuale, dove si è fatta luce sulle potenzialità del videogioco – integrato sì alle terapie più “tradizionali”, ma anche per la sua natura ludica.

Reso accessibile e, specialmente “Per certe condizioni di disabilità motorie – confermano da FightTheStroke –, (il videogioco) può affiancarsi alla riabilitazione per rafforzare lo sviluppo” cognitivo e sensoriale. E “favorire la scoperta e l’uso di strategie, ausili e strumenti digitali assistivi, fondamentali per lo sviluppo di competenze”, con un impatto importante anche nell’esercizio della concentrazione, per esempio.

Per avere un quadro più chiaro della situazione e dei confini esistenti, è interessante guardare ad alcuni numeri. “In Italia più del 70% delle persone con disabilità dichiara di non svolgere attività significative di partecipazione sociale e si dice poco o niente soddisfatto della qualitativi del tempo libero (dati Istat, 2021). Questa limitazione è legata, in gran parte, a barriere di accessibilità alle attività culturali, sportive, associative” (dati FightTheStroke). Inoltre, “solo il 59% delle persone con disabilità lievi o moderate ha accesso a internet. Percentuale che diminuisce al 36% per le persone con limitazioni gravi”. Non è difficile comprenderlo: per molti italiani, l’esclusione da strumenti che hanno facilitato e stano ridisegnando i nostri confini lavorativi, sociali e di intrattenimento, passa anche dalla mancanza di conoscenza della disponibilità dei dispositivi.

Lo conferma Francesca Fedeli, presidentessa della Fondazione FightTheStroke, «gli strumenti software ci sono già. La maggior parte dei programmi o piattaforme ha una versione accessibile, spesso gratuita. Lo sviluppo è più orientato sugli hardware per permettere a persone con disabilità – anche temporanea – di utilizzare al meglio quei software». Soprattutto, però, «manca la conoscenza delle possibilità da parte delle famiglie, la consapevolezza e la formazione degli operatori».

Far conoscere e formare

Se il limite pratico di progettare gli strumenti adatti è in certo modo superato attraverso attività di co-design, la sfida è trovare un’ottica di sistema. Partendo dall’informare e formare anche i professionisti coinvolti, istruendoli sull’accessibilità dei dispositivi, in molti casi prescrivibili, come chiarisce Nicola Gencarelli, di Fondazione ASHPI. «All’interno del nomenclatore degli ausili e protesi del Ministero della Salute, sono elencate anche le tecnologie digitali assistive: strumenti informatici che possono supportare le persone con disabilità per lo studio, la vita autonoma, il lavoro, il tempo libero e anche il gioco. Quindi un medico specialista che ha in cura una persona con disabilità ha facoltà di prescrivere anche strumenti digitali se questi possono essere di supporto ad attività significative per la persona con disabilità».

Ammettiamolo, l’associazione videogiochi e disabilità continua a essere contornata da una patina di sospetto. Basti pensare quanto sia ancora taboo associare il videogaming alle offerte formative nei percorsi standard delle scuole dell’obbligo. Anche per questo allora l’iniziativa di FightTheStroke e Fondazione ASPHI ha un significato importante. Usando strumenti adatti, offrendo un campo di gioco alla pari, le diverse parti si sono messe a confronto avviando così una (nuova) interpretazione del gaming digitale.

Il videogioco interviene sulla qualità della vita delle persone, in ambito educativo, di stimolazione e riabilitazione, da una parte. Dall’altra, come elemento ludico e di intrattenimento. Conferma Fedeli: «Come punto di riferimento per le persone con disabilità di paralisi cerebrale in Italia, siamo orgogliosi di aver promosso quest’alleanza e dimostrato che ognuno può giocare a modo suo, adattando il contesto di vita ed eliminando le barriere, anche grazie all’utilizzo saggio della tecnologia. Le sperimentazioni portate a termine durante tutto l’anno ci hanno permesso di rivendicare il diritto alla comunicazione dei bambini con disabilità e la promozione del gaming per l’apprendimento, la socialità, la pratica sportiva».

Adattare

Svolgiamo attività quotidiane sempre più spesso utilizzando una qualche forma di gaming – Pensiamo a come impariamo le lingue o visitiamo musei o città. Perché allora non normalizzare l’uso dei videogiochi anche nell’ambito della disabilità, rendendoli un’alternativa economicamente accessibile? La tecnologia è adattabile e già esiste. «Serve creare conoscenza e fare formazione e lavorare in un’ottica di sistema», continua la presidentessa della Fondazione FightTheStroke. E una prospettiva in cui, attraverso strumenti adatti per necessità specifiche, l’attività video-ludica su un campo di partenza equilibrato, diventi una di completamento di una vita attiva.

Aggiunge Nicola Gencarelli: «Per alcune persone con disabilità complesse, in particolare, videogiocare con gli altri significa abitare un mondo condiviso dove si parte alla pari e dove si può essere protagonisti di una storia, fare delle scelte e collaborare.» Senza contare poi che «il videogioco spesso rappresenta anche l’occasione per bambini e bambine con disabilità di conoscere e familiarizzare con tecnologie e ausili digitali che saranno fondamentali anche per la comunicazione, lo studio, il controllo della casa, e in generale la vita. Il gioco, si sa, è una cosa seria.»

Se interessati a saperne di più:

Fondazione FightTheStroke.org

Fondazione ASPHI Onlus

Il Sole 24 Ore - Le caregiver schiacciate tra lavoro di cura e burocrazia

Assegno di inclusione, incentivi per le assunzioni e fondi per il lavoro e le attività socio-educative: sono diverse le misure a favore delle persone disabili contenute nel Decreto Lavoro che a breve approderà alle Camere. Ma quello che scompare dall'orizzonte di intervento è la figura che sta accanto alla persona con disabilità.

I caregiver familiari creano un ponte tra i professionisti e la rete di supporto familiare. Sono quelle che l’Istituto Superiore di Sanità definisce come «persone che assistono e si prendono cura, in maniera continuativa e gratuita, di un loro familiare non autosufficiente o con patologie croniche invalidanti». Quasi tre milioni di persone, in larga parte donne e soprattutto mamme. Talvolta con una necessità di presenza che limita fortemente il loro accesso al lavoro. Gli ultimi dati Istat risalgono al 2018 e sono solo stime, in quanto si tratta di una figura non inquadrata giuridicamente.

Lo scorso novembre il Lazio è stata la prima regione a riconoscere i caregiver familiari come persone distinte sia dai loro congiunti con disabilità sia dagli operatori professionali: un passaggio importante, che ha gettato le basi per delineare i diritti soggettivi dei caregiver e i loro specifici bisogni. «L'Italia è un Paese di diritto, ciascuno ha un'identità dalla quale derivano i suoi diritti soggettivi. Per questo è importante riconoscere a noi caregiver familiari lo stato di cittadini diversi dalle persone con disabilità di cui ci occupiamo» spiega Sofia Donato, portavoce del Gruppo Caregiver Familiari Comma255.

Lavoro, salute mentale, salute fisica: su quante e quali siano le necessità delle caregiver occorre indagare con uno sguardo libero dalle troppo accuse di assistenzialismo. «Nella rete sanitaria - - spiega Francesca Fedeli, founder di FightTheStroke, fondazione che supporta la causa dei giovani sopravvissuti all'ictus - manca la figura di un case manager che metta insieme le informazioni e gli aspetti burocratici . Le iniziative sono frammentate, reperire le informazioni e giungere a ottenere i benefici disponibili comporta un carico di lavoro che si somma al resto. Il risultato è che molte di queste caregiver familiari finiscono col trascurare non solo la propria vita sociale, ma anche la propria salute».

Si può pensare a servizi capaci di intercettare il malessere e di prendere in carico i sintomi, una rete di supporto gestita da personale specializzato capace di guidare nella gestione sanitaria e burocratica. Un modello che capovolga la visione, per una gestione delle risorse a favore delle caregiver familiari, alle quali non può essere semplicemente richiesto il sacrificio totale in nome della maternità. «Ho scelto di essere madre, non di essere una caregiver familiare. L’amore è un sentimento istintivo per una madre, ma il carico di lavoro e mentale non può essere imposto» spiega Sofia Donato, che il 29 maggio porterà le istanze del Gruppo Comma255 in un convegno a Palazzo Theodoli Bianchelli, dove interverranno anche la ministra per le disabilità Alessandra Locatelli e la ministra per la famiglia, la natalità e le pari opportunità Eugenia Roccella.

L'industria della moda sta includendo la disabilità?

L'industria della moda sta includendo la disabilità?

L’industria della moda sta ascoltando i bisogni del 15% della popolazione mondiale con disabilità?

Da Levis a Nike, da Ferragamo a Tommy Hilfiger, sono diversi i brand impegnati a inserire nella propria agenda progetti di inclusione delle persone disabili, che attraversano la produzione e le politiche delle risorse umane. Sono pratiche relativamente recenti, che dimostrano che si può e si deve fare di più.

Alcune esperienze raccolte Francesca Fedeli e Letizia Giangualano.

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AlleyOop: Paralimpiadi, facciamo il tifo per la delegazione italiana più numerosa di sempre

AlleyOop: Paralimpiadi, facciamo il tifo per la delegazione italiana più numerosa di sempre

Prima ci furono gli Europei di calcio e il primo tennista italiano in finale a Wimbledon, poi gli uomini che corrono o saltano meglio al mondo: una rinascita tutta italiana, di cui hanno cominciato ad accorgersi anche i nostri colleghi e amici stranieri. Ma cosa è successo? Rendiamo meglio sotto stress prolungato da Covid19 o davvero l’Italia, che non garantisce neanche quelle due ore di educazione fisica alla scuola primaria, può ora sperare in una nuova cultura sportiva e motoria?

Oggi partono i Giochi Paralimpici Estivi di Tokyo 2020 (sia i Giochi Paralimpici estivi che quelli invernali si tengono sempre circa 10 giorni dopo i Giochi Olimpici) e non è solo una grande opportunità per far conoscere i numerosi sport adattati per le persone con disabilità, ma un appuntamento su cui tenere acceso l’entusiasmo delle recenti vittorie sportive.

Ecco i nostri 5 motivi per continuare a parlarne:

1. Lo sport può essere un ascensore sociale. No, non parliamo di Ius soli per gli atleti nati all’estero ma cresciuti tra le fila dello sport italiano, quello è un diritto e come tale va preservato e non legato a delle performance. Parliamo invece delleopportunità di trattamenti equi: per la prima volta in assoluto ai Giochi di Tokyo, atlete paralimpiche del calibro di Tatyana McFadden saranno pagate allo stesso modo dei loro omologhi olimpici americani per le loro vittorie con la medaglia. “Mi sento apprezzata – ha detto Tatyana McFadden – So che sembra così triste da dire, ma l’aumento della retribuzione mi fa sentire come se fossimo come qualsiasi altro atleta’. “Just like any Olympian”.

2. Le recenti Olimpiadi ci hanno fatto scoprire campioni dal nome e dal colore della pelle diversi dagli anni precedenti, atleti italiani di seconda generazione che ci hanno fatto fare un gran passo in avanti sui temi dell’inclusione e dell’intersezionalità: la battaglia per la normalizzazione di tutte le diversitàe la valorizzazione delle minoranze passa anche per il Comitato Internazionale Paralimpico (IPC) che decide di lanciare una campagna che promuova l’accesso equo a rifugiati e migranti con disabilità agli sport adattati, il progetto STEADY ‘Sport as a Tool for Empowerment for (Dis) Abled Displaced Youth’.

3. L’Italia si presenta quest’anno con il più alto numero di atleti da quando partecipa a una Paralimpiade e con una maggioranza di atlete donne, sempre in crescita da Londra 2012 a Rio 2016. Ci dispiace un po’ per il calcio a 7 che esce dalle discipline sportive in gara ma gioiamo per l’ingresso del Taekwondo (che ha già portato a casa un’oro con Vito Dell’Aquila): saremo ancora più felici quando aumenteranno i ranghi dei giovani talenti, quando una bambina con disabilità non dovrà macinare chilometri prima di trovare un istruttore competente nella disciplina sportiva adattata che ha visto in TV. La Bebe Vio Academy, in collaborazione con Nike e il Comune di Milano, la Palestra dei fighters o l’iniziativa Sport4All promossa da PlayMore! e Fondazione Milan stanno andando in questa buona direzione, ma sono ancora poche le realtà esemplari che vogliono sviluppare un vivaio di giovani talenti sportivi, anche nelle discipline paralimpiche.

4. Lo sport paralimpico è da sempre molto vulnerabile rispetto ai temi dell’ Inspiration porn: ‘se ce l’ha fatta lui, poverino, che scuse hai tu per non farcela?’. Per fortuna la rappresentazione ‘ispirazionale/motivazionale’ associata agli atleti con disabilità sta cambiando negli anni ma continuiamo a fare tesoro delle parole dell’attivista Stella Young: “Voglio vivere in un mondo in cui le aspettative nei confronti delle persone disabili non siano così basse che riceviamo i complimenti per esserci alzati dal letto e aver ricordato i nostri nomi al mattino. Voglio vivere in un mondo in cui diamo valore ai veri risultati ottenuti dalle persone disabili. La disabilità non ti rende eccezionale, ma mettere in discussione ciò che pensi di sapere al riguardo lo fa”.

Anita Pallara

5. Come tutti gli eventi mediatici globali, abbiamo capito che possono essere grandi amplificatori di temi sociali aperti: un altro primato delle Olimpiadi di Tokyo 2020 è stato quello di abrogare la Regola 50 della Carta Olimpica, consentendo quindi alle atlete e agli atleti di “esprimere le proprie opinioni sul campo di gioco, purché lo facciano senza interruzioni e nel rispetto degli altri concorrenti“. E allora inseriamoci anche noi in quest’ondata di gesti d’attivismo, facendo luce su quegli eventi che si ripropongono puntualmente tutte le estati: anche le persone con disabilità vanno in vacanza e si scontrano con stabilimenti balneari non attrezzati, spiagge, musei e palestre non accessibili, sciatteria, ignoranza o violazione delle leggi nel ridurre il ‘mismatch’ tra la persona con disabilità e l’ambiente. Nella nostra estate italiana ne sono stati un esempio le vicende recenti di Anita Pallara, che si è vista rovinare le ferie quando la compagnia aerea con cui viaggiava le ha reso inutilizzabile la sua carrozzina elettrica, o di Sofia Righetti, che per voler visitare un giardino d’arte si è sentita rispondere ‘potevi restare a casa tua’.

Guardiamo, e facciamo guardare ai nostri figli e amici, i giochi Paralimpici, tifiamo per i nostri 113 atleti e atlete azzurri, non perdiamo l’occasione di tenere alta l’attenzione sui temi dell’inclusività e dell’accessibilità. L’appuntamento è con la prima cerimonia di apertura prevista per martedi 24 agosto, dalle ore 20:00 di Tokyo, ore 13 italiane. Il Comitato Paralimpico Italiano (CIP) ha sottoscritto un accordo con la RAI e almeno le gare da casa saranno accessibili per tutti, nessuno escluso.

Il Sole 24 Ore: Disabilità, nasce la Palestra dei fighters. Anche lo sport online deve essere per tutti

Il Sole 24 Ore: Disabilità, nasce la Palestra dei fighters. Anche lo sport online deve essere per tutti

Muoversi è autonomia e vita, lo è tanto di più per chi alla nascita ha ascoltato una sentenza senza scampo ‘signora mia, questo bambino sarà un vegetale, non camminerà mai’. Praticare uno sport adattato quando si ha un impedimento motorio vuol dire anche riabilitarsi, vuol dire ridurre le barriere che rappresentano il disequilibrio tra la persona con disabilità e l’ambiente”. Eccolo, raccontato da una delle promotrici Francesca Fedeli, il punto di partenza per il progetto della Palestra dei fighters, un canale di allenamento online disegnato da FTS in collaborazione con i fondatori di Fightthestroke, e da una rete di famiglie e professionisti che conoscono e vivono tutti i giorni le esigenze delle persone con disabilità.

Si tratta di una palestra virtuale per tutte le persone con disabilità permanente o temporanea, di ogni età che coglie i trend emergenti della ‘Digital-enabled fitness’ e delle comunità online che si ritrovano per allenarsi da casa e che mette in pratica le evidenze scientifiche sull’esercizio motorio per le persone con disabilità: un trattamento individualizzato ed adattato può rappresentare un’alternativa valida e complementare alle attività sul territorio, di cui spesso non si riesce a usufruire.

Insomma, se il Covid ci lascia una buona eredità è sicuramente quella di servizi online altamente qualificati, che nella nuova normalità si alterneranno a quelli in presenza. Il progetto mette al centro l’importanza dell’attività sportiva: secondo l’Istat solo l’8,5% delle persone con disabilità in Italia pratica un’attività sportiva in maniera continuativa e l’emergenza Covid non ha alterato le abitudini di vita quotidiana o le ha peggiorate, a causa dell’interruzione forzata di molti servizi, che sono stati considerati differibili.

Sole24Ore - Disabilità, la prossima volta che cambi canale facci caso

Sole24Ore - Disabilità, la prossima volta che cambi canale facci caso

In tutto il mondo e su tutte le piattaforme i professionisti dell’intrattenimento si stanno impegnando per diventare sempre più inclusivi nella rappresentazione delle minoranze sui media: e il successo di film come Black Panther, Wonder Woman e Coco ci dimostra che la diversità può vincere anche al botteghino. Ma a che punto siamo con la rappresentazione delle persone con disabilità, una delle minoranze più numerose al mondo? Ancora oggi ci si dimentica della disabilità nelle conversazioni su Diversity & Inclusion, si ritiene forse che non sia un tema così accattivante o si continuano a toccare solo le corde emotive, troppo sbilanciati verso l’abilismo o l’inspiration porn. La mancanza di rappresentanza delle persone con disabilità nei film – si stima che solo nel 3% delle serie TV e ancor meno nei programmi per bambini (meno dell’1%) ci sia un protagonista con un qualche tipo di disabilità – significa che milioni di persone oggi non sono in grado di vedersi rappresentate nei media, milioni di ragazzi non sono in grado di sognare una storia d’amore guardando quel personaggio nello schermo televisivo. C’è poi il tema degli attori senza disabilità che vengono ingaggiati per rappresentare il 95% di tutti i personaggi con disabilità in televisione.

E quando la rappresentazione c’è spesso è fuorviante. Un esempio? Quasi tutti i ritratti delle persone con disabilità nei media sono con la pelle bianca, mentre sappiamo che la disabilità ha un impatto su tutti, senza distinzioni di razza. Secondo un rapporto di “The Media, Diversity, & Social Change (MDSC) Initiative” solo il 2,7% di tutti i personaggi nominati nel cinema ha dimostrato di convivere con una disabilità. Nessuno dei personaggi principali proviene da un gruppo razziale/etnico sottorappresentato o dalla comunità LGBTQ: le storie che riflettono la vita dei personaggi con disabilità e la diversità demografica di questa comunità rimangono ancora troppo sfuggenti nel cinema.

Ma cosa possiamo fare noi come attivisti dei diritti delle persone con disabilità o come semplici spettatori delle varie serie televisive? Innanzitutto, possiamo educare giornalisti, registi e produttori ad un linguaggio e ad una rappresentazione equa nei media: questa ad esempio è la guida ‘Hollywood Disability Toolkit’ a cura di Respectability, un’organizzazione americana che da anni porta avanti una battaglia per combattere gli stigma e offrire nuove opportunità alle persone con disabilità.

E poi abbiamo il telecomando in mano, possiamo selezionare le serie e i programmi TV che rispondono a criteri di inclusione contemporanei, escludendo invece quelle trasmissioni ancora tutte italiane che alimentano lo spirito voyeuristico nei confronti del ‘fuori norma’, che ridicolizzano alcune caratteristiche somatiche o rappresentano la vita quotidiana dei bambini con disabilità con i balletti, facendoci riflettere sul ‘come siamo stati fortunati, noi normali’.

Noi l’abbiamo fatto per voi, cercando di raccogliere e commentare in questa lista i principali film e le serie TV che parlano a diverso titolo di disabilità, sulle piattaforme disponibili in Italia. E inevitabilmente abbiamo toccato anche le emozioni di fronte alla diagnosi di una malattia, alla consapevolezza di una diversità e all’impegno dell’essere caregiver.