Disabled Data

Progetto "Disabled Data " per l'Hackathon "AI for Inclusion"

Progetto "Disabled Data " per l'Hackathon "AI for Inclusion"

Progetto "Disabled Data " per l'Hackathon "AI for Inclusion"

Quante sono le persone con disabilità in Italia? rendiamo completi e accessibili i dati che riguardano le persone con disabilità in Italia

Se volessimo raccontare la disabilità in Italia attraverso i suoi dati ci troveremmo immediatamente in una condizione di disabilità, impossibilitati/e nell’attività di ricerca, raccolta, analisi ed elaborazione, a causa di barriere strutturali e contestuali. Con questo progetto collaborativo vogliamo liberare i dati e renderli accessibili per primi alle persone con disabilità e poi a tutta la società civile. Con questo progetto ci auguriamo di poter collaborare con Microsoft e Istat affinchè il modello di Disabled Data diventi un'esperienza replicabile e inclusiva della rappresentazione di tutte le persone con disabilità in Italia.

Repo: https://disableddata.fightthestroke.org/

Confindustria: I DATI PER CONOSCERE LA DISABILITÀ

Senza dati accurati è impossibile conoscere e conseguentemente intervenire sul mondo della disabilità. Francesca Fedeli, presidente della Fondazione Fight The Stroke, ci presenta il progetto che ha portato avanti: Disabled Data o Dati Disabilitati. Una piattaforma partecipata, che ha messo insieme diversi attori e ha indagato sette aree di interesse prioritario, dall’accesso all’istruzione alla fruizione del tempo libero, dall’occupazione all’accesso ai sussidi. È stata promossa dalla Fondazione e progettata da Sheldon Studio con la collaborazione di OnData con l’obiettivo di rendere accessibili e immediati a un pubblico più ampio i dati sulla disabilità nel nostro Paese. Una prima mappatura per agevolarne la lettura, l’analisi critica e la messa a disposizione per l’adozione di politiche efficaci.

Conosciamo meglio la Fondazione: come nasce e con quali obiettivi?Fight The Stroke nasce nel 2014 sulla base di un’esigenza personale come spesso accade nel terzo settore: la diagnosi di nostro figlio Mario, nato nel 2011, con un ictus perinatale e quindi una prospettiva di disabilità di permanente di paralisi cerebrale infantile. L’obiettivo della Fondazione è quello di supportare la causa dei giovani sopravvissuti all’ictus e delle famiglie dei bambini con paralisi cerebrale infantile che devono reinventarsi e confrontarsi ogni giorno con la burocrazia per ottenere i diritti riconosciuti. La Fondazione vuole educare alla consapevolezza che i bambini, anche quelli non ancora nati, possono essere colpiti da lesioni cerebrali fortemente invalidanti e il cui futuro non dovrebbe essere già scritto, ispirando le nuove generazioni a favorire la ricerca e l’adozione di terapie innovative validate dalla scienza”.

Perché l’esigenza di ripartire dai numeri? “Per fare chiarezza. Per contarci, per sapere quante persone con disabilità ci sono in Italia, navigando sul web ci abbiamo impiegato, nel cosiddetto user journey, 80 click con l’annessa apertura di circa 20 tabelle. Aggregando i dati da diverse fonti, fra cui quelle di Istat e Eurostat, ci siamo resi conto che nel nostro Paese i numeri delle persone con disabilità sono sottostimati, è come se l’accesso ai dati per noi e su di noi fosse disabilitato.

L’ultima rilevazione ISTAT del 2019 ci dice che in Italia ci sono 3.150.000 persone con disabilità ma questo dato, che corrisponde a circa un 5% della popolazione, è il risultato di un’indagine campionaria che rileva risposte autodichiarate e non tiene conto, ad esempio, di altre fonti informative, come i dati provenienti dalle certificazioni INPS. Un limite che potrebbe essere superato dal “Registro delle disabilità”, progetto di cui si parla dal 2020 ma non ancora reso disponibile.

La percentuale italiana del 5% sembra inoltre essere sottostimata e in controtendenza rispetto alle percentuali globali, che definiscono la più grande minoranza marginalizzata delle persone con disabilità pari al 15% della popolazione mondiale.

Conoscere questi dati non è solo un interesse speculativo, vuol dire essere partecipi anche del processo di assegnazione delle risorse pubbliche, poter verificare l’adeguata realizzazione delle politiche che ci riguardano, incluse quelle del welfare”.

Quale fra i dati raccolti è per lei più significativo? “Il tema relativo all’istruzione e alla scuola è uno di quelli su cui desidero portare l’attenzione. In termini di partecipazione scolastica, gli alunni con disabilità sono in crescita, ma il numero di insegnanti di sostegno per alunni varia considerevolmente tra le regioni italiane, e in termini di barriere architettoniche solamente una scuola su tre risulta accessibile per i bambini e ragazzi con disabilità motoria, anche qui con forti variazioni regionali. Ma non solo, per i nostri ragazzi è come se mancasse la reale possibilità di scegliere come costruire in autonomia il proprio percorso di vita. Un chiaro indicatore è il calo della partecipazione scolastica nell’istruzione secondaria, per lo più relegata a percorsi tecnici e, soprattutto, il calo ancora più drastico per l’istruzione terziaria in cui l’Italia è uno dei fanalini di coda d’Europa. I nostri ragazzi con disabilità difficilmente fanno viaggi studio all’estero, studi al conservatorio o hanno accesso ad università prestigiose: quello che normalmente ci auguriamo per ogni figlio, nel caso dei figli con disabilità sembra essere un percorso precluso in partenza”.

Il tempo libero e le attività sportive come vengono viste? “Quello che colpisce è il mettere in secondo piano tutto ciò che a che fare con il tempo libero, in quanto non viene considerato né una necessità né un diritto, contrariamente a quanto avviene nelle famiglie del Nord Europa. In Italia, in particolare, lo sport viene considerato come intrattenimento e non un bisogno primario capace di coadiuvare con la cura o le terapie che si seguono. Lo sport porta con sé socialità e diversi benefici, come la consapevolezza di sé, l’autostima, la sicurezza ma può diventare anche una professione. Noi come Fondazione investiamo molto sullo sport come abilitatore, sia come alleato nella riabilitazione che nell’avviamento ad attività paralimpiche. Ad esempio con l’iniziativa dei Fight Camp estivi offriamo a bambini dai 6 ai 12 anni, con diversi gradi di deficit motorio e provenienti da tutte le parti del mondo, una settimana intensiva di riabilitazione attraverso lo sport. Nel Fight Camp i nostri ragazzi con Paralisi Cerebrale possono allenare e migliorare le loro abilità motorie, imparando discipline come l’atletica, il taekwondo o l’arrampicata. È un’occasione unica in cui i partecipanti possono vivere una socialità ricreativa e una vita comunitaria con i pari, a cui in genere non partecipano negli altri luoghi di aggregazione. E tutti i bambini hanno degli obiettivi riabilitativi personalizzati, concordati con la famiglia e con i terapisti, e misurati rispetto a indicatori e scale certificate.”

Il progetto AINCP su intelligenza artificiale e paralisi cerebrale infantile, ci racconta il coinvolgimento di Fight The Stroke? “AlNCP è l’acronimo del progetto europeo “Clinical validation of Artificial Intelligence for providing a personalized motor clinical profile assessment and rehabilitation of upper limb in children with unilateral Cerebral Palsy” dall’Unione Europea nell’ambito del Programma Quadro EU Horizon. È un progetto di ricerca che ha l’obiettivo di sviluppare strumenti di supporto alle decisioni cliniche basati sull’evidenza, per la diagnosi funzionale dei bambini con emiparesi, e di telemedicina, per impostare il trattamento riabilitativo personalizzato, grazie all’utilizzo dell’intelligenza artificiale e alla metodica riabilitativa dell’Action Observation Therapy. A condurre la ricerca è l’Università di Pisa, con numerosi partner italiani come l’IRCCS Fondazione Stella Maris di Calambrone, che si occuperà della sperimentazione clinica, la Scuola Superiore Sant’Anna con l’Istituto di Biorobotica per la messa a punto di nuovi dispositivi sensorizzati con tecnologia robotica e l’Istituto di Management per la sostenibilità del progetto nei sistemi sanitari europei, l’Università del Salento che si occuperà degli aspetti etici nell’uso dell’intelligenza artificiale in età evolutiva. Per la prima volta partecipano anche i pazienti e i loro caregivers sin dalla fase progettuale: la Fondazione FightTheStroke con il suo braccio operativo FTS srl, il principale gruppo italiano a supporto dei genitori di bambini con paralisi cerebrale infantile, porterà la voce dei bisogni delle famiglie e co-creerà soluzioni disegnate intorno ai giovani pazienti, così come di rilievo è la presenza nel consorzio di aziende private del settore. Come partner internazionali vi saranno l’Universidad De Castiglia – La Mancha (Spagna) e la Katholieke Univesiteit Leuven (Belgio) che insieme a Stella Maris si occuperanno della parte clinica, prevedendo il coinvolgimento di almeno 200 bambini, e la University of Queensland (Australia) per la messa a punto di algoritmi di intelligenza artificiale da integrare nel modello. È un progetto di cui siamo davvero orgogliosi e che ci permette di dare un nostro contributo concreto all’innovazione in medicina e al miglioramento delle condizioni di vita dei nostri bambini”.

Come ritiene che sia la presa in cura delle persone con disabilità complesse nel nostro Paese? “Per alcuni aspetti nei percorsi di cura e assistenza è come se si fosse perso il collegamento con il territorio e l’attenzione alle peculiarità dei diversi tipi di disabilità e ai contesti familiari. Dovremmo chiederci come possiamo continuare ad offrire lo stesso tipo di servizio a una persona adulta o a un bambino, che nasce in regioni diverse? C’è moltissima mobilità fra le diverse regioni e tra alcuni centri di eccellenza nazionale per questa condizione di disabilità: famiglie che ogni giorno devono sostenere costi e investimento di risorse proprie per effettuare visite di controllo o esami più approfonditi a Genova, Pisa o Milano. Il problema maggiore però è quando una famiglia non si sente seguita o non riesce ad avere la giusta rete territoriale e sceglie, per le difficoltà che incontra, anche economiche, di andare in centri non certificati, finendo nelle mani di alcuni centri esteri che promuovono cure miracolose senza evidenza di prove scientifiche. Per le famiglie con disabilità complesse emergono sempre più discrepanze anche in merito alla richiesta di ausili. Se pensiamo ai bambini con disabilità complesse che sempre più spesso non ricevono gli ausili adeguati o perdono la possibilità di personalizzarli. Si vedono arrivare a casa deambulatori o carrozzine fuori misura, ausili standardizzati che non tengono conto della crescita reale dei bambini, perdendo di fatto la possibilità di aggiornarli ogni sei mesi. La chiave per un cambiamento parte da un sistema di alleanze fra famiglie, associazioni, classe medica e industria, capace di portare una nuova cultura della disabilità”.

If we are not counted, how do we count?

If we are not counted, how do we count?

People create data. It is human-made, without people data doesn’t exist. At the same time, the opposite — if data exists, people exist — cannot be held true. It would be more correct to say If data exists, some people exist. Let me explain. What if data collection excludes certain categories, such as minorities or more vulnerable people? They simply would not exist, especially in the minds of the policymakers who work with data every day. How can we imagine supportive policies and strategies if specific types of people are not included in the data, and thus remain invisible? This is the question asked by D’Ignazio and Klein in Data Feminism, and by Ottaviani and the Code for Africa team in Mapping Makoko… the very same question we at Sheldon.studio asked ourselves when Fight The Stroke requested our help to look into the Italian data on disability.


Tech4Good: Senza dati le persone non esistono. L’inclusione della disabilità parte dai dati (che spesso non conosciamo)

(99+) Senza dati le persone non esistono. L’inclusione della disabilità parte dai dati (che spesso non conosciamo) | LinkedIn

Nicoletta Boldrini

Giornalista indipendente, divulgatrice (tecnologie emergenti) | Autrice, Speaker | Due anime: tecnologica e umanistica | Futurista-Futures Studies Facilitator | Analizzo gli impatti delle tecnologie sui possibili futuri

3 milioni e 150 mila persone, principalmente donne o persone anziane sopra i settantacinque anni, che riportano difficoltà in attività di tipo domestico, dal fare la spesa alla gestione delle risorse economiche.

Sono i dati di ISTAT (al 2019) che inquadrano la situazione della disabilità in Italia e che fotografano quanto l’inclusione delle diversità sia ancora molto molto lontana quando si tratta di disabilità.

Ecco cosa dicono i dati:

Le disuguaglianze tra persone con disabilità e il resto della popolazione si riscontrano nell’utilizzo dei mezzi pubblici urbani (solo 14,4% delle persone con disabilità riesce ad accedere ai mezzi pubblici), nella violenza fisica o sessuale (il 37% delle donne con limitazioni gravi ne viene colpito), nel benessere economico (il reddito annuo equivalente medio comprensivo dei trasferimenti da parte dello Stato è di 17.476 euro, inferiore del 7,8% a quello nazionale), nel lavoro (nel 2019, nelle persone tra i 15 e i 64 anni, risulta occupato solo il 32,2% di coloro che soffrono di limitazioni gravi contro il 59,8% delle persone senza limitazioni).

L’inclusione deve partire dall’abbattere le deprivazioni

Cosa significa davvero deprivazione lo chiarisce bene ISTAT:

l’indicatore che misura la capacità di spesa e si riferisce al fatto di poter riscaldare adeguatamente l’abitazione, di affrontare una spesa imprevista, di consumare un pasto adeguato almeno una volta ogni due giorni, di potersi concedere una settimana di vacanza.

Nel Rapporto annuale 2022 ISTAT immortala molto bene le informazioni che derivano da quell’indicatore:

“un quinto delle famiglie con almeno una persona con disabilità è deprivato; lo è più del 25% tra le famiglie monoreddito e quasi il 30% tra quelle residenti nelle regioni del Mezzogiorno; tutti i valori superano sensibilmente quelli registrati tra le famiglie senza disabilità (12,4 per cento del totale famiglie, 16,6 di quelle monoreddito, 16,8 di quelle residenti nelle Isole e 22,9 per cento nel Sud)”

Nonostante le politiche di welfare abbiano ridotto il rischio di povertà delle famiglie con persone con disabilità - si legge nella nota e nel Rapporto dell’ISTAT - queste non riescono ad annullare le forme estese di deprivazione materiale. I servizi e gli interventi in tema di assistenza socio-assistenziale lasciano ancora un onere di cura importante sulle famiglie e non permettono di colmare lo svantaggio nelle prospettive di lavoro e carriera dei caregiver e delle stesse persone con disabilità.

L’importanza di poter leggere e capire i dati (senza dover essere esperti tecnici)

Per risolvere i problemi – e quello dell’inclusione delle persone con disabilità o limitazioni più o meno gravi, anche temporanee, in questo momento è decisamente un problema – è necessario prima di tutto capirli, comprenderne l’essenza.

Per risolvere serve comprendere, per comprendere serve conoscere.

La più recente definizione di disabilità include tutti coloro che non dispongono di pari opportunità e sono impossibilitati nella vita quotidiana a causa di limiti imposti dal contesto. In parole povere, questo dato include una quantità enorme di persone, che magari temporaneamente si trovano in una condizione di disabilità, in seguito a un incidente, una malattia, all’avanzare dell’età o a un evento qualsiasi che prima o poi rischia di limitarci nella vita che siamo abituati a condurre. Parlare di disabilità è quindi molto complesso, le sfumature sono tantissime.

I dati riportati qui sopra fanno riferimento alle statistiche ed ai rapporti dell’ISTAT. Ma fotografano davvero la situazione del nostro Paese? Tenendo conto di queste ulteriori dimensioni, quante sono davvero le persone con disabilità in Italia?

Comprenderlo diventa complicato. E se non c’è comprensione, non c’è conoscenza (quella che serve per risolvere i problemi).

Pubblicati in formati non accessibili a tutti, a volte nascosti all’interno di report, oppure sparpagliati su più piattaforme o perfino incompleti, i dati diventano “disabilitati”, non potendo esprimere il loro potenziale analitico e informativo, a causa di limiti imposti dal contesto.

Se i dati non esistono,

le persone non esistono.

A raccogliere la sfida c’è Disabled Data, una piattaforma digitale promossa dalla Fondazione FightTheStroke - progettata da Sheldon.studio con il supporto di onData - per aprire i dati sulla disabilità in Italia ad un ampio pubblico affinché il problema possa emergere con più chiarezza e si possa concretamente avviare un’analisi critica attraverso la quale adottare e migliorare politiche efficaci.

Riporto dal comunicato stampa 👇

“Abbiamo lavorato a questo progetto da oltre un anno, con una squadra fluida ma multifunzionale: i rappresentanti dei diritti, i minatori dei dati, i designer inclusivi, i giornalisti investigativi, gli sviluppatori. L’obiettivo è sempre stato quello di dare una risposta collettiva ai bisogni espressi dalla comunità delle persone con disabilità e dai loro alleati, superando le sfide dei pregiudizi, del dialogo mancato, degli interessi personali e delle fonti dati inaccessibili. Stanchi di leggere titoli di giornali banalizzanti o di sentirci dire che quell’informazione non era disponibile in maniera disaggregata perché riguardante ‘la privacy di persone vulnerabili’. Nonostante le barriere incontrate, ci è sembrato comunque doveroso perseguire l’obiettivo di una piattaforma comune, che andasse oltre il singolo corporativismo tipico di questo settore e che attraverso audizioni periodiche disegnasse uno spazio inclusivo e accessibile a tutti, ascoltando la voce di beneficiari, famiglie, statisti, medici, legali, giornalisti e istituzioni, da Nord a Sud, online e offline”, afferma Francesca Fedeli, Presidente della Fondazione FightTheStroke.org ETS che si occupa di giovani con una disabilità di Paralisi Cerebrale Infantile e che ha finanziato il progetto con proprie risorse e in linea con una missione universale di difesa dei diritti delle persone con disabilità.

“L’obiettivo è quello di rendere maggiormente accessibili e restituire a giornalisti, esperti, cittadini, e attivisti i dati messi a disposizione da ISTAT ed EUROSTAT, affinché si possa parlare e scrivere di disabilità in maniera più informata e consapevole.” aggiunge Matteo Moretti designer e co-fondatore di Sheldon.studio che ha curato il design e lo sviluppo del progetto, con una particolare attenzione all’accessibilità del dato a persone con ogni tipo di disabilità.

“Il lavoro di ISTAT è ammirevole, sia chiaro, e speriamo che Disabled Data serva come stimolo per ripensare insieme la filiera dei dati sulla disabilità, verso un processo di raccolta, pubblicazione, analisi e racconto più consistente e accessibile, in modo che i dati siano un bene comune.” conclude Andrea Borruso, presidente dell’Associazione OnData che si è occupata di raccogliere e razionalizzare i dati presentati sulla piattaforma.

L’interesse all’inclusione cresce nei mesi freddi. Per fortuna siamo a dicembre

Qui sotto vedete l’andamento dell’interesse (in termini di ricerca sul Web) ai temi dell’inclusione e della diversità, in Italia, nel corso degli ultimi 12 mesi.

La diversità interessa meno dell’inclusione. L’inclusione interessa solo nei mesi freddi, da giugno a settembre importa a pochi. Per fortuna siamo a dicembre!

Se ai termini di ricerca aggiungiamo “disabilità”, scopriamo che l’interesse è decisamente più alto dell’inclusione e della diversità (ma anche questo termine da giugno a settembre genere poco interesse).

Peccato che la ricerca sul Web di informazioni sulla disabilità non necessariamente significa che le persone cercano vie ed azioni di inclusività.

A giudicare dai precedenti dati [mia personale deduzione, sia chiaro!] ho l’impressione che la ricerca sia fatta da chi ha bisogno di aiuto.

NOTA IMPORTANTE: Disabled Data è pronta alla versione finale, verrà rilasciata il 3 Dicembre, Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità, consentendo anche la possibilità di ricercare, condividere e contribuire alla piattaforma. Da oggi, chiunque voglia scrivere, documentarsi o parlare di disabilità, ha uno strumento in più, verso una narrazione e soprattutto una percezione della disabilità consapevole e libera da stereotipi.

NOTA ANCORA PIÙ IMPORTANTE: Non percepisco alcun compenso e non ho alcun tipo di rapporto commerciale con le aziende citate; non ho alcun interesse “scomodo” nel divulgare l’impegno di Disable Data, se non quello di contribuire a dare, nel mio piccolo, un contributo alla conoscenza. GRAZIE PER IL TEMPO DEDICATO ALLA LETTURA DI QUESTO ARTICOLO.

The visual agency: How many people with disabilities are there in Italy?

The number of people with disabilities in Italy is not known precisely. The lack of data is a problem because it is difficult to think about and fund policies for support and assistance. Guidelines are based on rough estimates from surveys. For example, inps, which handles the payment of welfare benefits in Italy, has digitized only the certifications of people with disabilities made after 2010. Because of the incompleteness of these data, Italy's statistical agency, Istat, has had to resort to sampling surveys.

People in Italy with severe limitations, which prevent them from performing usual activities, are about 5 per cent of the population. The figure comes from an Istat survey called "Aspects of Everyday Life." A sample of 20,000 households or 50,000 people were asked to answer several questions, including the following: "Due to health problems, do you have limitations that have lasted for at least six months in activities that you usually perform?". There were three response options: severe limitations, non-serious limitations, and no limits. 


The occasionality of these surveys (the last one was in 2019) and the lack of up-to-date data are obstacles to prioritizing and impacting disability policies. According to the article "Italy does not know how many people with disabilities there are" in Il Post, one of the main limitations of the data stems from the definition of disability. The United Nations Convention explains that people with disabilities are not the exclusive presence of a physical or mental deficit but concerning the social context with which they come into a relationship. Disability occurs whenever people's health conditions are related to the obstacles and barriers of the environment in which they live.


More reliable estimates would require more specific sampling and not using self-reported data based on people's responses to surveys. More accurate data would provide a better understanding of the living conditions of people with disabilities and identify the barriers that lead to these same disadvantages. This need is the focus of a campaign spearheaded by the FightTheStroke foundation, which supports the cause of young stroke survivors and those with infant cerebral palsy. The foundation launched the DisabledData project, which aims to collect and make available data on disability from various sources. The onData association, which advocates for open public data, contributed to the project, while Sheldon.studio oversaw the inclusive and accessible design of the digital platform.

How many people with disabilities are there in Italy? (thevisualagency.com)

Le domande giuste per superare gli stereotipi

Le domande giuste per superare gli stereotipi

Nei giorni scorsi un questionario proposto, e poi ritirato, dai comuni di Nettuno e di Roma per valutare la situazione di stress delle persone che assistono familiari con disabilità è stato discusso e criticato da attivisti e associazioni del settore. Le critiche sono sorte per alcune domande come "quanto risentimento provi nei confronti di tuo figlio disabile?" o "quanto ti vergogni del tuo familiare?", che sembrano ricondurre lo stress a una situazione personale interna invece che al contesto difficile, anche legato allo scarso sostegno istituzionale, in cui si ritrovano le famiglie. È vero che se non si misura un fenomeno non è possibile conoscerlo e promuovere soluzioni per far fronte a eventuali problemi, ma anche il modo in cui si raccolgono i dati è importante e può definire il tipo di risposta che la politica dà alle esigenze delle famiglie e della comunità. Come ha ben spiegato Simona Lancioni su Informare un'h, il magazine online del centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli, le domande si basavano su scale di misura del carico assistenziale create nell'ambito dell'assistenza agli anziani negli anni ottanta e su un modello medico di disabilità, che la considera un problema fisico, mentale o sensoriale del singolo individuo, superato oggi da un modello bio-psico-sociale. Quest'ultimo non considera più "la disabilità come una faccenda indivi duale e privata, ma responsabilità delle società. Al di là del caso discusso in questi giorni, è necessario colmare su tuttii livelli la lacuna di dati sulla disabilità in Italia, come denunciato da Francesca Fedeli, della fondazione FightTheStroke, nell'ambito della campagna Disabled Data. Fedeli ha avviato, insieme ad altre associazioni, una mappatura dei dati sulla disabilità in Italia, che risultano incompleti, non aggiornati e di difficile accesso. Per conoscere con esattezza il numero di disabili nel nostro paese, o scoprire come è stato calcolato il numero di 3,15 milioni di persone che si trova nelle fonti online, oggi bisogna fare "un viaggio da 85 click" tra tabelle che non si aprono e siti che risultano non più accessibili. Senza dati, "è difficile dar voce alle battaglie di rivendicazione dei diritti di una comunità ancora oggi marginalizzata o mal raccontata", si legge sul sito della campagna. In più, il tipo di dati che raccogliamo su un fenomeno o una situazione influenza il modo in cui lo raccontiamo: per superare gli stereotipi è necessario fare e farsile domande giuste.

Donata Columbro è una giornalista che si occupa di tecnologia e attivismo.