disabilità

Confindustria: I DATI PER CONOSCERE LA DISABILITÀ

Senza dati accurati è impossibile conoscere e conseguentemente intervenire sul mondo della disabilità. Francesca Fedeli, presidente della Fondazione Fight The Stroke, ci presenta il progetto che ha portato avanti: Disabled Data o Dati Disabilitati. Una piattaforma partecipata, che ha messo insieme diversi attori e ha indagato sette aree di interesse prioritario, dall’accesso all’istruzione alla fruizione del tempo libero, dall’occupazione all’accesso ai sussidi. È stata promossa dalla Fondazione e progettata da Sheldon Studio con la collaborazione di OnData con l’obiettivo di rendere accessibili e immediati a un pubblico più ampio i dati sulla disabilità nel nostro Paese. Una prima mappatura per agevolarne la lettura, l’analisi critica e la messa a disposizione per l’adozione di politiche efficaci.

Conosciamo meglio la Fondazione: come nasce e con quali obiettivi?Fight The Stroke nasce nel 2014 sulla base di un’esigenza personale come spesso accade nel terzo settore: la diagnosi di nostro figlio Mario, nato nel 2011, con un ictus perinatale e quindi una prospettiva di disabilità di permanente di paralisi cerebrale infantile. L’obiettivo della Fondazione è quello di supportare la causa dei giovani sopravvissuti all’ictus e delle famiglie dei bambini con paralisi cerebrale infantile che devono reinventarsi e confrontarsi ogni giorno con la burocrazia per ottenere i diritti riconosciuti. La Fondazione vuole educare alla consapevolezza che i bambini, anche quelli non ancora nati, possono essere colpiti da lesioni cerebrali fortemente invalidanti e il cui futuro non dovrebbe essere già scritto, ispirando le nuove generazioni a favorire la ricerca e l’adozione di terapie innovative validate dalla scienza”.

Perché l’esigenza di ripartire dai numeri? “Per fare chiarezza. Per contarci, per sapere quante persone con disabilità ci sono in Italia, navigando sul web ci abbiamo impiegato, nel cosiddetto user journey, 80 click con l’annessa apertura di circa 20 tabelle. Aggregando i dati da diverse fonti, fra cui quelle di Istat e Eurostat, ci siamo resi conto che nel nostro Paese i numeri delle persone con disabilità sono sottostimati, è come se l’accesso ai dati per noi e su di noi fosse disabilitato.

L’ultima rilevazione ISTAT del 2019 ci dice che in Italia ci sono 3.150.000 persone con disabilità ma questo dato, che corrisponde a circa un 5% della popolazione, è il risultato di un’indagine campionaria che rileva risposte autodichiarate e non tiene conto, ad esempio, di altre fonti informative, come i dati provenienti dalle certificazioni INPS. Un limite che potrebbe essere superato dal “Registro delle disabilità”, progetto di cui si parla dal 2020 ma non ancora reso disponibile.

La percentuale italiana del 5% sembra inoltre essere sottostimata e in controtendenza rispetto alle percentuali globali, che definiscono la più grande minoranza marginalizzata delle persone con disabilità pari al 15% della popolazione mondiale.

Conoscere questi dati non è solo un interesse speculativo, vuol dire essere partecipi anche del processo di assegnazione delle risorse pubbliche, poter verificare l’adeguata realizzazione delle politiche che ci riguardano, incluse quelle del welfare”.

Quale fra i dati raccolti è per lei più significativo? “Il tema relativo all’istruzione e alla scuola è uno di quelli su cui desidero portare l’attenzione. In termini di partecipazione scolastica, gli alunni con disabilità sono in crescita, ma il numero di insegnanti di sostegno per alunni varia considerevolmente tra le regioni italiane, e in termini di barriere architettoniche solamente una scuola su tre risulta accessibile per i bambini e ragazzi con disabilità motoria, anche qui con forti variazioni regionali. Ma non solo, per i nostri ragazzi è come se mancasse la reale possibilità di scegliere come costruire in autonomia il proprio percorso di vita. Un chiaro indicatore è il calo della partecipazione scolastica nell’istruzione secondaria, per lo più relegata a percorsi tecnici e, soprattutto, il calo ancora più drastico per l’istruzione terziaria in cui l’Italia è uno dei fanalini di coda d’Europa. I nostri ragazzi con disabilità difficilmente fanno viaggi studio all’estero, studi al conservatorio o hanno accesso ad università prestigiose: quello che normalmente ci auguriamo per ogni figlio, nel caso dei figli con disabilità sembra essere un percorso precluso in partenza”.

Il tempo libero e le attività sportive come vengono viste? “Quello che colpisce è il mettere in secondo piano tutto ciò che a che fare con il tempo libero, in quanto non viene considerato né una necessità né un diritto, contrariamente a quanto avviene nelle famiglie del Nord Europa. In Italia, in particolare, lo sport viene considerato come intrattenimento e non un bisogno primario capace di coadiuvare con la cura o le terapie che si seguono. Lo sport porta con sé socialità e diversi benefici, come la consapevolezza di sé, l’autostima, la sicurezza ma può diventare anche una professione. Noi come Fondazione investiamo molto sullo sport come abilitatore, sia come alleato nella riabilitazione che nell’avviamento ad attività paralimpiche. Ad esempio con l’iniziativa dei Fight Camp estivi offriamo a bambini dai 6 ai 12 anni, con diversi gradi di deficit motorio e provenienti da tutte le parti del mondo, una settimana intensiva di riabilitazione attraverso lo sport. Nel Fight Camp i nostri ragazzi con Paralisi Cerebrale possono allenare e migliorare le loro abilità motorie, imparando discipline come l’atletica, il taekwondo o l’arrampicata. È un’occasione unica in cui i partecipanti possono vivere una socialità ricreativa e una vita comunitaria con i pari, a cui in genere non partecipano negli altri luoghi di aggregazione. E tutti i bambini hanno degli obiettivi riabilitativi personalizzati, concordati con la famiglia e con i terapisti, e misurati rispetto a indicatori e scale certificate.”

Il progetto AINCP su intelligenza artificiale e paralisi cerebrale infantile, ci racconta il coinvolgimento di Fight The Stroke? “AlNCP è l’acronimo del progetto europeo “Clinical validation of Artificial Intelligence for providing a personalized motor clinical profile assessment and rehabilitation of upper limb in children with unilateral Cerebral Palsy” dall’Unione Europea nell’ambito del Programma Quadro EU Horizon. È un progetto di ricerca che ha l’obiettivo di sviluppare strumenti di supporto alle decisioni cliniche basati sull’evidenza, per la diagnosi funzionale dei bambini con emiparesi, e di telemedicina, per impostare il trattamento riabilitativo personalizzato, grazie all’utilizzo dell’intelligenza artificiale e alla metodica riabilitativa dell’Action Observation Therapy. A condurre la ricerca è l’Università di Pisa, con numerosi partner italiani come l’IRCCS Fondazione Stella Maris di Calambrone, che si occuperà della sperimentazione clinica, la Scuola Superiore Sant’Anna con l’Istituto di Biorobotica per la messa a punto di nuovi dispositivi sensorizzati con tecnologia robotica e l’Istituto di Management per la sostenibilità del progetto nei sistemi sanitari europei, l’Università del Salento che si occuperà degli aspetti etici nell’uso dell’intelligenza artificiale in età evolutiva. Per la prima volta partecipano anche i pazienti e i loro caregivers sin dalla fase progettuale: la Fondazione FightTheStroke con il suo braccio operativo FTS srl, il principale gruppo italiano a supporto dei genitori di bambini con paralisi cerebrale infantile, porterà la voce dei bisogni delle famiglie e co-creerà soluzioni disegnate intorno ai giovani pazienti, così come di rilievo è la presenza nel consorzio di aziende private del settore. Come partner internazionali vi saranno l’Universidad De Castiglia – La Mancha (Spagna) e la Katholieke Univesiteit Leuven (Belgio) che insieme a Stella Maris si occuperanno della parte clinica, prevedendo il coinvolgimento di almeno 200 bambini, e la University of Queensland (Australia) per la messa a punto di algoritmi di intelligenza artificiale da integrare nel modello. È un progetto di cui siamo davvero orgogliosi e che ci permette di dare un nostro contributo concreto all’innovazione in medicina e al miglioramento delle condizioni di vita dei nostri bambini”.

Come ritiene che sia la presa in cura delle persone con disabilità complesse nel nostro Paese? “Per alcuni aspetti nei percorsi di cura e assistenza è come se si fosse perso il collegamento con il territorio e l’attenzione alle peculiarità dei diversi tipi di disabilità e ai contesti familiari. Dovremmo chiederci come possiamo continuare ad offrire lo stesso tipo di servizio a una persona adulta o a un bambino, che nasce in regioni diverse? C’è moltissima mobilità fra le diverse regioni e tra alcuni centri di eccellenza nazionale per questa condizione di disabilità: famiglie che ogni giorno devono sostenere costi e investimento di risorse proprie per effettuare visite di controllo o esami più approfonditi a Genova, Pisa o Milano. Il problema maggiore però è quando una famiglia non si sente seguita o non riesce ad avere la giusta rete territoriale e sceglie, per le difficoltà che incontra, anche economiche, di andare in centri non certificati, finendo nelle mani di alcuni centri esteri che promuovono cure miracolose senza evidenza di prove scientifiche. Per le famiglie con disabilità complesse emergono sempre più discrepanze anche in merito alla richiesta di ausili. Se pensiamo ai bambini con disabilità complesse che sempre più spesso non ricevono gli ausili adeguati o perdono la possibilità di personalizzarli. Si vedono arrivare a casa deambulatori o carrozzine fuori misura, ausili standardizzati che non tengono conto della crescita reale dei bambini, perdendo di fatto la possibilità di aggiornarli ogni sei mesi. La chiave per un cambiamento parte da un sistema di alleanze fra famiglie, associazioni, classe medica e industria, capace di portare una nuova cultura della disabilità”.

If we are not counted, how do we count?

If we are not counted, how do we count?

People create data. It is human-made, without people data doesn’t exist. At the same time, the opposite — if data exists, people exist — cannot be held true. It would be more correct to say If data exists, some people exist. Let me explain. What if data collection excludes certain categories, such as minorities or more vulnerable people? They simply would not exist, especially in the minds of the policymakers who work with data every day. How can we imagine supportive policies and strategies if specific types of people are not included in the data, and thus remain invisible? This is the question asked by D’Ignazio and Klein in Data Feminism, and by Ottaviani and the Code for Africa team in Mapping Makoko… the very same question we at Sheldon.studio asked ourselves when Fight The Stroke requested our help to look into the Italian data on disability.


Le domande giuste per superare gli stereotipi

Le domande giuste per superare gli stereotipi

Nei giorni scorsi un questionario proposto, e poi ritirato, dai comuni di Nettuno e di Roma per valutare la situazione di stress delle persone che assistono familiari con disabilità è stato discusso e criticato da attivisti e associazioni del settore. Le critiche sono sorte per alcune domande come "quanto risentimento provi nei confronti di tuo figlio disabile?" o "quanto ti vergogni del tuo familiare?", che sembrano ricondurre lo stress a una situazione personale interna invece che al contesto difficile, anche legato allo scarso sostegno istituzionale, in cui si ritrovano le famiglie. È vero che se non si misura un fenomeno non è possibile conoscerlo e promuovere soluzioni per far fronte a eventuali problemi, ma anche il modo in cui si raccolgono i dati è importante e può definire il tipo di risposta che la politica dà alle esigenze delle famiglie e della comunità. Come ha ben spiegato Simona Lancioni su Informare un'h, il magazine online del centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli, le domande si basavano su scale di misura del carico assistenziale create nell'ambito dell'assistenza agli anziani negli anni ottanta e su un modello medico di disabilità, che la considera un problema fisico, mentale o sensoriale del singolo individuo, superato oggi da un modello bio-psico-sociale. Quest'ultimo non considera più "la disabilità come una faccenda indivi duale e privata, ma responsabilità delle società. Al di là del caso discusso in questi giorni, è necessario colmare su tuttii livelli la lacuna di dati sulla disabilità in Italia, come denunciato da Francesca Fedeli, della fondazione FightTheStroke, nell'ambito della campagna Disabled Data. Fedeli ha avviato, insieme ad altre associazioni, una mappatura dei dati sulla disabilità in Italia, che risultano incompleti, non aggiornati e di difficile accesso. Per conoscere con esattezza il numero di disabili nel nostro paese, o scoprire come è stato calcolato il numero di 3,15 milioni di persone che si trova nelle fonti online, oggi bisogna fare "un viaggio da 85 click" tra tabelle che non si aprono e siti che risultano non più accessibili. Senza dati, "è difficile dar voce alle battaglie di rivendicazione dei diritti di una comunità ancora oggi marginalizzata o mal raccontata", si legge sul sito della campagna. In più, il tipo di dati che raccogliamo su un fenomeno o una situazione influenza il modo in cui lo raccontiamo: per superare gli stereotipi è necessario fare e farsile domande giuste.

Donata Columbro è una giornalista che si occupa di tecnologia e attivismo.

Focus Scuola: GUIDA SU COME PARLARE DI DISABILITÀ A SCUOLA. PRINCIPI GUIDA, LINGUAGGIO, FILM

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Da non sottovalutare anche il cosiddetto inspiration porn, espressione coniata dalla defunta attivista disabile Stella Young, con cui nella nostra comunicazione rendiamo “oggetto” una parte del corpo o della psiche di una persona ritenuta “diversa”, per trarne ispirazione. Francesca Fedeli, fondatore e presidente della Fondazione FightTheStroke.org, che da molti anni è impegnata nella tutela dei diritti e dei bisogni dei bambini sopravvissuti all’ictus prenatale e che hanno sviluppato una condizione di disabilità e paralisi cerebrale infantile, mi racconta che «gli errori di narrazione sono più frequenti in Italia, soprattutto nelle campagne pubblicitarie per bambini con disabilità, rappresentati con mantello e superpoteri, come se un deficit di una funzione potesse essere compensato da uno sviluppo “migliore” di un altro tipo di capacità. È come dire “la tua storia mi ha molto ispirato, se ce la fai tu che sei sulla carrozzina, io non ho scuse per non andare a correre”».

La reiterazione di questi errori crea vere e proprie pratiche di abilismo: «A volte poniamo attenzione infatti prima al difetto che alla persona, e questo significa commettere un atto di discriminazione».

Anche Aito tra le società scientifiche accreditate

Anche Aito tra le società scientifiche accreditate

con entusiasmo comunico che A.I.T.O. (Associazione Italiana dei Terapisti Occupazionali) ha superato l'iter di selezione ed è stata inclusa nell'Elenco delle Società Scientifiche e Associazioni Tecnico Scientifiche delle Professioni Sanitarie ai sensi del DM 2/08/2017, pubblicato dal Ministero della Salute con Determina nr. 0047944 del 23/09/2021.

Questo risultato, ottenuto grazie all’importante lavoro intrapreso dal precedente Consiglio Direttivo, guidato dall’attuale Past President dott. Michele Senatore, portato avanti dal Consiglio Direttivo in carica e dal sostegno di tutti i soci, permetterà alla professione di dare il proprio contributo nei tavoli tecnici che determinano i percorsi di qualità in riabilitazione.

Il Comitato Scientifico di A.I.T.O., costituito dal dott. Michelangelo Bartolo, dalla dott.ssa Francesca Fedeli e dalle colleghe dott.ssa Francesca Arduini, Perla Massai e Martina Ruffini, assieme al Consiglio Direttivo e ai Referenti dei Coordinamenti Regionali, nelle prossime settimane definiranno le azioni operative per portare avanti gli obiettivi della nuova mission associativa: ricerca scientifica, elaborazione e produzione di linee guida, collaborazione con associazioni ed enti di ricerca nazionali ed internazionali.

Disabilità, le proposte per un 2021 più inclusivo

Disabilità, le proposte per un 2021 più inclusivo

Il 3 dicembre si celebra ogni anno la Giornata internazionale delle persone con disabilità (IDPD) per promuovere la piena e pari partecipazione delle persone con disabilità e per intervenire affinché la loro inclusione in tutti gli aspetti della società e dello sviluppo sia una realtà e non solo una parola scritta su una convenzione.
Quest’anno sarà in concomitanza con la 13a sessione della Conferenza delle Nazioni Unite per la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, e grazie alla tecnologia anch’io riuscirò a partecipare, da remoto.

Claudio Arrigoni Consuelo Battistelli, Matteo Betti, Francesca Bonsi Magnoni Laura Borghetto Martina Fuga Ilaria Galbusera Betina Genovesi Giulia Lamarca Matilde Leonardi Guido Marangoni Iacopo Melio Valentina Perniciaro Daniele Regolo Roberto Scano Daniela Scapoli Elena Tantardini Luca Trapanese Maximiliano Ulivieri Silvia Vecchini Massimiliano Verga Marina Viola Francesca Fedeli