Celebriamo insieme il WORLD STROKE DAY – 29 Ottobre 2018
#upagain #thenewnormal
In occasione della Giornata Mondiale dell’Ictus e in collaborazione con l’International Alliance for Pediatric Stroke, abbiamo chiesto alla nostra comunità di rispondere a queste domande, per farci raccontare quali forze hanno messo in campo loro per rialzarsi e che sapore ha ora la nuova vita: 'Come vi siete rialzati da un trauma così importante come l’Ictus? quale è oggi la nuova normalità di vita? Cosa vi è stato utile, pensando all'ingresso o al rientro a scuola per i vostri figli? Quali consigli dareste per pianificare una nuova vita intervallata dalle numerose sessioni di terapia? Come genitori, che cosa avete fatto per voi stessi, per recuperare un benessere personale? nei panni di un giovane che ha avuto un ictus, cosa è stato utile per riadattarsi nella società dopo l'ictus?’
La storia di Riccardo
La mia vita dopo l'ictus prenatale
Anzitutto grazie alla mia famiglia. Grazie per quello che avete fatto fino ad ora, dall'accettarmi per quello che sono fisicamente fino alla tenacia che avete impiegato per farmi crescere. Lunghi anni di fisioterapia intensiva che non mi sono costati fatica in tenera età, ma che sono diventati un macigno pesantissimo durante l'adolescenza. Ogni volta vedevo me stesso confrontarmi con il mio limite.
E' difficile scrivere questa lettera per me; un po' perchè lo faccio pochissime volte, un po' perchè ho paura di testimoniare ed evidenziare i miei sentimenti e le mie emozioni attuali. Ho avuto una vita molto difficile rispetto ai miei coetanei, già da bambino ero a contatto con la vera realtà e non quella ingenua, edulcorata,mista a sogni irrealizzabili. Molte volte mi chiedo: "Perchè non posso essere come gli altri? Come faccio a riempire questo gap determinato dalla disabilità con gli altri?". Ancora non trovo, a distanza di anni, una risposta e una spiegazione a queste due domande; ma so che almeno voi ci siete e per questo ho almeno sei spalle su cui poggiarmi. Sento, molte volte, la necessità di avere amici veri ma, purtroppo le parole "amare" di alcune persone mi hanno fatto soffrir perchè in questo modo devo pensare a due cose: cercare degli amici e sembrare una persona empatica quando sono fuori con altri, quindi espormi emotivamente. Non so come comportarmi in questi casi, preferisco rimanere immobile sul divano sentendomi come un vigile urbano sempre fermo sulla sua catastrofe come dice Alda Merini invece che provare ad uscire e, magari divertirmi tanto come quando sono dai miei unici amici. Ho paura, paura di non essere pronto a sperimentare e a volte andare avanti e di non essere all'altezza delle aspettative degli altri. Le aspettative, molte volte, producono delusioni; delusioni che non mi posso permettere per riempire quel "famoso" gap a cui medito costantemente. Fallire mi è quasi imperdonabile a volte; la mente e il cuore devono pensare e agire anche per la parte esteriore del corpo rimasta in deficit. Tutto deve essere tenuto sotto controllo,tutto non può essere realizzato, e dopo le delusioni che ho avuto molto probabilmente la mia parte razionale ha avuto la meglio su quella emotiva. Osservare, meditare, rimuginare, scomporre le azioni per poi la maggior parte delle volte rassegnarmi al pensiero "di non essere in grado" di eseguire e fare le cose. Questo penso: "Perchè dovrei essere in grado io e non qualcun altro", "Perchè dovrebbero scegliere me?" E' vero: ho bisogno di aiuto, per esempio il fisioterapista mi è utile per migliorarmi ed essere un ragazzo migliore. Mi è sempre piaciuto il desiderio di migliorarsi anche per aiutare gli altri sempre e non solo quando sono in difficoltà. Sono sempre indeciso e mi fermo anche solo davanti a piccoli dettagli logistici, quanto vorrei fermare i pensieri e vivere di leggerezza.
In tutto ciò il mio percorso scolastico è stato segnato indubbiamente dalle mie emozioni, a volte non ho recepito gli aiuti, a volte ho enfatizzato le critiche. Ora al liceo, il mio tutor, il professore di filosofia, lo considero come rifugio, come mia seconda "casa". Utilizza la filosofia per indirizzare il mio pensiero al raggiungimento dei miei ideali. E' protezione per me.
Termino questa lettera con l'intento di proseguire questa lunga storia insieme lottando, ma con speranza e sorrisi.
Vi abbraccio!
La storia di Annamaria
La mia vita dopo l'ictus avuto a 9 anni (1979)
Ricordo tutto come se fosse adesso, era una giornata come tante altre e come mille altre volte ero alla Federazione Italiana Tennis per il mio corso settimanale. Quel giorno era dedicato alla preparazione atletica, era la parte che a me piaceva meno, vi era meno competizione, era un lavoro diverso dal trovarsi sul campo di tennis durante una partita ma era comunque importante ed io avrei dato il meglio di me. L'insegnante fu categorico con tutti noi: niente sconti, 10 giri di corsa della pista di atletica e poi lavoreremo sullo scatto e la velocità. Si faceva interessante. Portai a termine i 10 giri e da lì iniziò la mia partita più importante, quella nella quale devi giocare ogni punto fino in fondo dando il massimo!!!! La diagnosi fu "ictus ischemico in area sottocorticale, capsulo gangliobasale destra (infarto striato -capsulare maggiore) con emiparesi spastica sinistra focalizzata a livello crurale distale. Inizialmente io non credo di aver pensato a niente, non ho realizzato l'emiparesi, non mi rendevo conto. I medici della NPI erano sconvolti per la modalità con cui l'evento si era verificato. Ma è grazie a loro, alla loro competenza, umanità, onestà e caparbietà ed a quella dei miei genitori se io sono riuscita a rialzarmi e a recuperare tantissimo. Hanno stimolato e battuto sulla parte agonistica che c'era in me ed hanno sempre creduto che potessi rialzarmi. Purtroppo è subentrata una importante distonia al piede sinistro, farmaco resistente e molto dolorosa, a distanza di pochi giorni, mentre vi era in parallelo la fase di recupero dall'emiparesi. Ancora oggi questa è una cosa che mi comporta tanto dolore e tanta fisioterapia. La vita ha comunque ripreso il suo corso. Sono rientrata a scuola e qui le maestre sono state uniche. Eravamo una classe di circa 20 bambini abbastanza agitati, al mio rientro a scuola (dovevo fare una vita tranquilla, ero sotto gardenale), ho trovato una classe di "angioletti", tutti tranquilli e pronti a fare i giochi che volevo io: unico obbligo imposto da loro, avermi rigorosamente al doposcuola per stare insieme e recuperare il tempo perso e rubato alla nostra amicizia. Credo che ciò che mi è successo sia stata una lezione di vita per me, grazie a tutti coloro che mi hanno circondato e aiutato a modo loro: dall'infermiera "cattiva "(solo ai miei occhi) perché voleva che mi tagliassi la carne da sola, ai medici che hanno lottato come leoni con i mezzi di allora, alla mia famiglia nei cui occhi ho sempre letto sincerità, affetto e determinazione. Tanti interventi, tante esperienze, tanti approcci diversi al problema fino poi al contatto con un neuro-ortopedico francese che, oltre a correggere in parte il mio problema al piede, mi ha fatto da maestro di vita affiancandomi poi al mio attuale chinesiologo che è stato per me fondamentale e mi ha permesso di evitare in toto la sedia a rotelle, che altri ortopedici avevano prospettato, permettendomi addirittura di tornare sui campi da tennis non più a gareggiare ma a divertirmi. Posso certamente dire di aver vinto la mia partita più bella grazie ad uno splendido lavoro di squadra.
La storia di Francesco
raccontata dai suoi genitori Daniela e Marco
Franci è un ragazzo di 11 anni, con disabilità plurima causata da una crisi anossica di origine sconosciuta, avuta a sei mesi di vita e che gli ha causato tetraparesi, cecità ed epilessia.
L’arrivo della disabilità nella nostra famiglia è stato come un uragano che ha sconvolto tutti. Dopo il periodo in terapia intensiva sono seguiti alcuni mesi di ricovero all’istituto La nostra famiglia di Bosisio Parini per il percorso di uscita dal coma. Franci è tornato a casa in uno stato di totale inavvicinabilità: di fatto piangeva e urlava tutto il giorno e tutta la notte.
È stata Teresa, una terapista di stimolazione basare della Fondazione Holmann di Cannero, la prima persona che è riuscita da entrare in relazione con Franci facendo la scoperta più sorprendente e semplice che si potesse fare per un bimbo di un anno: Franci piangeva per noia e paura. Nel momento in cui lo si metteva nelle condizioni di fare delle attività che egli mostrava di gradire il pianto si mutava in attenzione e gioia. Da questo episodio fondamentale per la vita di nostro figlio abbiamo iniziato a comprendere quanto siano importati le proposte in grado di suscitare la sua curiosità e il suo interesse: da qui il passaggio verso il cercare di promuovere lo sviluppo cognitivo di Franci è stato breve. L’unica cosa che avevamo capito era che Franci voleva comunicare e che in qualche modo cercava di dire sì e no. Dopo alcuni anni di ricerche finalmente Franci ha iniziato il percorso di Comunicazione Aumentativa Alternativa coordinato dal Centro Benedetta D’Intino di Milano. Tramite una tecnica chiamata scansione uditiva assistita dal partner Franci ora può scegliere, esprimere, fare commenti e raccontare esperienze.
Per noi l’ingresso a scuola è stato una tappa fondamentale della vita di Franci: crediamo infatti che la scuola sia l’ambiente migliore per permette ai bambini con disabilità anche grave di crescere e di sviluppare le loro competenze. Solo dal confronto tra pari nasce la voglia di comunicare e di migliorare sé stessi vedendo cosa gli altri riescono a fare: ciò che sa fare lui, posso cimentarmi a farlo anch’io.
Grazie alla Comunicazione Alternativa Aumentativa oggi Franci in molte materie di studio riesce a seguire la programmazione di classe: Franci ci tiene molto ad andare a scuola preparato e con i compiti fatti. Pensate che un giorno, a una festa, una sua compagna mi disse: “Come è possibile che Franci arrivi a scuola sapendo la lezione meglio di me?”.
La vita di oggi è fortemente segnata dalle esigenze di Franci e dalla difficoltà date dall’accessibilità dei luoghi. Ogni volta che vogliamo fare qualcosa ci dobbiamo chiedere se riusciremo ad arrivare, se i mezzi pubblici sono accessibili o, se andiamo in macchina, se riusciremo a trovare parcheggio, ed infine se potremo entrare. Le maggiori rinunce sono proprio legate alla non accessibilità dei luoghi. Potrà sembrare banale, ma andare al cinema o a teatro non è così semplice.
Oggi, e purtroppo anche in futuro, le difficoltà sono ancora tantissime perché il livello di autonomia di Franci è praticamente nullo. Oltre alla parte prettamente riabilitativa, che si limita a due sessioni settimanali di fisioterapia e una di ippoterapia, c’è anche una sessione una volta al mese di Comunicazione Aumentativa Alternativa. Fino all’anno scorso Franci frequentava lo Spazio Gioco dell’Abilità e faceva nuoto, l’ingresso alla scuola secondaria di primo grado ha imposto una momentanea revisione degli impegni.
Trovare attività per il tempo libero per Franci senza che sia direttamente gestito da noi genitori sembra utopistico.
Per poter gestire questa pluralità di attività a cui si è aggiunto il peso, seppur fisiologico e necessario, dovuto all’ingresso nell’adolescenza da parte del fratello maggiore Alessandro e anche, purtroppo, il dover gestire le richieste da parte di una burocrazia sempre più invadente e fagocitante, ha avuto come conseguenza uno stop lavorativo da parte della mamma Daniela. Questa dolorosa situazione di stallo lavorativo dovrà essere superata appena possibile poiché riteniamo che, senza la valvola di sfogo del lavoro, il carico della gestione famigliare di un ragazzo con disabilità plurima è troppo gravoso e rischia di annichilire la persona.
La nostra scelta è sempre stata quella di non fare troppe terapie, se avessimo guardato tutto quello che non sapeva fare Franci, avrebbe dovuto fare 20 ore di terapia al giorno. Abbiamo fatto una scelta in parte contro corrente, di limitare le terapie e di concentrarci sulla scuola e sulla possibilità di Franci di crescere nel confronto con i pari. La sua voglia di fare e di andare oltre i suoi limiti è stata la forza che gli ha permesso di migliorare ogni giorno.
Ad oggi Franci continua a migliorare, anche le previsioni erano solo di miglioramenti nella fase iniziale e poco probabili a distanza di anni.
Crediamo che il giusto equilibrio si trovi non sacrificando nessun componente della famiglia. Ad esempio, quando Franci aveva circa 3 anni, abbiamo dovuto rinunciare a fare alcuni ricoveri intensivi, perché il fratello Ale non reggeva più le nostre assenze (9 mesi nei primi due anni). Abbiamo quindi scelto di fare esclusivamente dei DH di valutazione e cercato sul territorio una soluzione che ci permettesse di avere dei buoni risultati in ambito riabilitativo.
Riuscire a non perdere l’equilibrio di coppia non è affatto semplice e scontato; infatti, purtroppo, abbiamo visto sciogliersi tantissime coppie in condizioni simili alla nostra.
Noi abbiamo avuto la fortuna di poter partecipare da circa dieci anni ad una settimana in estate ad un Campo Famiglie organizzato dagli Stimmatini a Bosco Chiesanuova. Per noi è stato un momento fondamentale, poiché ci ha permesso di ritrovare dello spazio nostro di coppia e di confrontarci con altre coppie (senza figli con disabilità) su temi di ampio respiro e su cosa ci guida nelle scelte di tutti i giorni. Scegliere come investire il proprio tempo ed il proprio denaro riguarda tutte le coppie, maggiormente quelle dove c’è un figlio con disabilità, dove tempo e denaro sono beni scarsi e preziosi.
Sempre per trovare tempo per noi come coppia abbiamo scelto di mandare in vacanza i ragazzi con alcuni progetti organizzati dal Comune di Milano, questo ci ha permesso di uscire dalla frenesia e dalla fatica quotidiana anche relativa i all’accudimento di Franci.
Crediamo che nel corso della vita ci si debba adattare a tantissimi cambiamenti: fisici, economici e sociali, quindi consiglierei ad un giovane che ha subito una diagnosi precoce così traumatica di non arrendersi alla nuova condizione di vita e di non rinunciare ai propri sogni.
Crediamo che la vita vada vissuta comunque a pieno e di non aspettarsi di tornare come prima per poter vivere, ma di accettarsi nella nuova condizione, questo non vuole dire di non cercare di migliorarsi. Ricordo con tristezza una famiglia conosciuta durante un ricovero che aveva smesso di vivere in attesa di tornare come prima e che sottoponeva la ragazza a cicli super intensivi di riabilitazione sia durante l’anno scolastico che in estate. Niente vacanze ma solo riabilitazione in ospedale.
Crediamo inoltre fortemente che lo sport possa essere un ambito dove si possono trovare nuovi stimoli di crescita e nuovi modi per riacquistare serenità e voglia di vivere.
Milano, 28 Ottobre 2018