La vita dopo l'ictus: Riccardo

Riccardo è nato col sorriso.

"Perché non piange?" "Sorride, è appena nato ma già è felice!"

Ecco cosa ricordo della sua nascita, ricordo il suo viso roseo, paffuto e soprattutto  sereno.

Forse è quello che voglio ricordare perché in realtà questa sensazione di pace, di estrema bellezza durò un attimo e poi mi scivolo' via dalle mani nonostante gli sforzi per fermare il ricordo di quella bellissima percezione di perfezione emotiva.

"È iporeattivo; facciamo un po' di esami ma vedrà che non è niente magari è solo molto, molto tranquillo."

Stroke prenatale emisfero sinistro, ci dissero."Non c'è  nessuna causa o meglio non la conosciamo".

Il pensiero si blocca mentre tutto intorno gira, vedi le persone che parlano ma tu non senti niente, tu rimani immobile, in apnea, pensanso solo a quel sorriso meraviglioso in cui ti eri riconosciuta subito e pensi che non è possibile, che i medici ti stanno facendo uno scherzo, un bruttissimo scherzo. "Andate via! Non sono io quella a cui comunicare tutto questo dolore, vi prego non sono io!"

"La lesione cerebrale è  molto estesa purtroppo, stiamo a vedere, nel frattempo ci vedremo spesso, spessissimo."

Stiamo a vedere? Vedere cosa? E adesso come possiamo rimanere qui, così, in attesa di risposte..

Camminera', parlerà, saprà  ragionare?

Ci siamo guardati, io e mio marito, a lungo, senza dire niente e, continuando a non dire niente abbiamo deciso di  lottare con tutte le risorse possibili; lottare per quel sorriso allontanando qualsiasi persona si avvicinasse pensando che la nostra fosse una disgrazia, avevamo bisogno di pensieri belli e positivi: ci sono stati. 

Non mi soffermo sui lunghi anni di fisioterapia, logopedia, visite, esami, (a distanza di tempo si sono inserite nuove modalità di intervento e più équipes specializzate).

Noi, un tutt'uno con gli ospedali.

Io, da infermiera, ho cominciato a temerli gli ospedali, gli ambulatori, le sale d'attesa con i genitori e il nodo in gola. Pensavo che mentre aspettavamo, avremmo potuto abbracciarci tutti, donandoci forza a vicenda, invece, riuscivamo solo ad incrociare sguardi silenziosamente complici e impauriti.

I ricordi del periodo intensivo si sono molto diluiti, alcuni li ho proprio rimossi. Sono rimasta a casa dal lavoro per cinque anni e poi ho ripreso il mio incarico là dove lo avevo lasciato, con un contratto part time però. Il mio lavoro, che amo, mi ha aiutato tanto, alcune colleghe mi hanno aiutato tanto. A casa mi aspettava Enrico, figlio di quattro anni maggiore, sapiente e protettivo; ha subito la nostra assenza cercando di diventare un figlio perfetto e ha rischiato di diventarlo davvero se non fosse per quel mix di insicurezza e fragilita che adoro. Mi sono sentita in colpa per avergli dedicato meno tempo ma ora che lo vedo indipendente a Padova mentre sta diventando un fisico che si fa filosofo e forse un po' poeta, be', ne sono molto orgogliosa.

Il rapporto tra lui e il fratello non è stato per niente semplice perche Riccardo ha sempre visto in lui il figlio sano "quello venuto bene", addirittura un po' genio e le distanze si sono fatte sentire e non poco, ignorandosi più che altro ma, ora che l'età  sembra averli avvicinati, Enrico gli ha dedicato una lettera che esprime tutto l'amore del mondo. Tempo, occorre sempre darsi tempo, anche le emozioni hanno bisogno di essere capite.

Riccardo cammina, parla, è  autonomo, è intelligente, è  appassionato, è un nuotatore e ama la vita. Riccardo però ha perduto quel sorriso iniziale e questa è stata la mia sconfitta più grande.

Ad un certo punto del cammino ha riconosciuto la  propria disabilita' attraverso gli occhi dei suoi coetanei e lì si è fermato.

Le sue passioni lo hanno penalizzato perché  erano passioni adulte e incomprensibili come la politica alle elementari o il giornalismo alle medie. Ne andava fiero, ne andavo fiera, invece stavano ponendo le basi per una distanza abissale con i coetanei, appassionati di play station o giochi con le carte con personaggi dai nomi strani.

Così, capitò che un pomeriggio d'estate un cosiddetto amico gli sputo' senza motivo, capito' che altri cominciarono a vergognarsi della sua bici a tre ruote seminandolo per il paese. Capito' che una confidenza fatta ad una ragazzina di cui era innamorato si tramuto' in uno scherno orribile.

Questi ed altri episodi gli fecero credere di non essere abbastanza e si arrese per non correre il rischio di provare nuovamente il fallimento, di non essere scelto come possibile amico.

La fatica di affrontare lo sguardo degli altri prese il sopravvento a tal punto da vivere con il proprio sguardo abbassato, sempre: gli altri non esistevano più se non come adulti, unici essere umani con cui intrattenere rapporti significativi.

La sorpresa colse impreparata anche me, mi ero abituata ad occuparmi del piano fisico, lui era così sorridente e combattivo, cosa avevo tralasciato? Avevo certamente sbagliato qualcosa; errori di comunicazione con il resto del mondo forse? Abbiamo dovuto staccare la spina dalla riabilitazione fisica per occuparci della sua sfera emotiva cercando di abbattere quella barriera che si era costruito. 

Le  crisi epilettiche arrivarono a 12 anni, nel pieno di questa esplosione emotiva; davanti alla scuola, con i compagni che lo circondavano, che urlavano, lui che percepiva tutto perché le crisi erano parziali senza perdita di coscienza; lui era quello lì disteso con il corpo che tremava, indifeso e terrorizzato. Le crisi epilettiche non si dimenticano.

"Mamma, chiedimi tutto ciò  che vuoi ma non di accettare l'epilessia, non ce la faccio è troppo per me".

Da quel momento si è fermata la sua voglia di lottare e di poter ancora migliorare.

" Non me ne faccio niente del mio fisico performante se non vengo accettato, se hanno paura o vergogna ad uscire con me". Ci siamo fatti aiutare da un percorso psicoterapico e dai professori della scuola superiore che non finirò mai di ringraziare, da non crederci che possano esistere professori così.

Piano piano, giorno dopo giorno cerchiamo di insegnargli ad affidarsi di nuovo ad essere meno rigido, a spostare l'attenzione da sé per  "sentire" l'altro in un modo diverso, più accogliente, senza selezionare in modo feroce. 

La nostra vita è cambiata certo; si viene risucchiati da un vortice di dolore e sensi di colpa, da un senso di impotenza e fragilità.

Si devono tenere sotto controllo troppe cose, cambiano le priorità.

Poi quando il vortice si placa, ti ritrovi più forte. Il rapporto di coppia si è rafforzato dalla complicità della battaglia; uniti lo siamo sempre stati, abbiamo messo in campo ognuno le proprie caratteristiche positive su cui fare affidamento.

Ora Riccardo ha 18 anni, sta faticosamente  riconquistando fiducia e abbozzi di sorriso nonostante un'ombra di malinconia lo accompagni sempre. Se unissi tra loro tutte le parole spese a confrontarci, a riordinare i pensieri, a tradurre gli eventi per donargli rimandi positivi e accettabili, be' farei varie volte il giro del mondo.

Si, la mia vita é cambiata, la nostra vita è cambiata ma   

non riesco ad immaginarmela una vita diversa.

Quest'anno vorremmo festeggiare la maggiore età organizzando una festa in cui invitare tutte le persone importanti nel suo percorso di vita: è una lista meravigliosa e lunghissima, una lista piena di amore.

" Sono stato sofferenza per te mamma, per voi?"

"Ho sofferto Riccardo e ancora soffro quando ti vedo stanco, arreso, in preda alla paura.

Ma ricordati che tra milioni di persone io ti cercherei, ritroverei il tuo sguardo e il tuo meraviglioso sorriso che era assolutamente destinato a me, a noi e a nessun altro".

Rossana