Corriere della Sera: Paralisi cerebrale, non sia un ostacolo per lo sport dei bambini
Alla Paralimpiade in corso la delegazione italiana ha ancora pochi atleti con paralisi cerebrale o acondroplasia. Bisogna cambiare la cultura partendo dagli accessi a tutte le palestre scolastiche.
Dodici giorni di gare in cui competeranno più di 4000 atleti con disabilità, da 185 Paesi nel mondo. La delegazione italiana alla Paralimpiade di Parigi si presenta con l’eredità del più grande bottino di sempre, ben 69 medaglie dei 115 atleti nostrani a Tokyo 2020. L’Australia, che ha meno della metà della popolazione italiana, in Giappone aveva portato 179 atleti: 34 gli atleti con Paralisi Cerebrale che hanno vinto 10 medaglie d’oro, il 42% del totale conquistate, nonostante gli atleti con cerebrolesioni costituissero solo il 19% della squadra.
Quest’anno gli atleti italiani sono 141 ma continuano ancora ad essere scarsamente rappresentate alcune condizioni di disabilità, come la Paralisi Cerebrale o l’Acondroplasia. Solo otto sono i nostri rappresentanti sportivi con una disabilità di Paralisi Cerebrale qualificati per Parigi: 5 nel nuoto, 1 nell’equitazione, 1 nel ciclismo e 1 nella scherma, con un’età dai 21 ai 48 anni. Sono 31 invece gli atleti paralimpici australiani con una disabilità di Paralisi Cerebrale che competono in 8 discipline e con un’età media decisamente più bassa.
Cosa celano allora i dati riportati dai comunicati stampa italiani? Non ci dicono che manca ancora una cultura diffusa dello sport paralimpico in Italia: le storie degli atleti di questa delegazione parlano di percorsi riabilitativi da adulti, dopo un incidente o dopo una malattia, di malformazioni o di amputazioni, di incontri che avvengono per caso nelle piscine delle unità spinali. Poche cerebrolesioni, poche disabilità acquisite dall’infanzia, pochi coloro che decidono di avvicinarsi allo sport fin dall’infanzia, per competere e non per riabilitarsi.
«La nostra più grande ambizione è che i giovani con disabilità si ispirino ai nostri atleti a Parigi e che finalmente decidano di iniziare a praticare sport», apre così il capo missione italiano. La mia ambizione è invece che ogni bambino con Paralisi Cerebrale possa anche solo accedere alla palestra della scuola, che non incontri per caso degli istruttori di nuoto paralimpico come quelli della Polha Varese, che dopo aver visto a Parigi uno schermidore con emiplegia come Matteo Betti trovi poi mezzi, istruttori e sussidi per continuare a praticare seriamente una di queste discipline vicino a casa. Ed è per questo che anche quest’anno abbiamo lavorato in piena estate per creare un vivaio di giovani atleti con la Fondazione FightTheStroke: l’ottava edizione del Fight Camp, sostenuto dalla Fondazione Prosolidar e dallo Sport for Inclusion Network, ha promosso su oltre 90 persone l’importanza dello sport adattato. Non solo ispirazione, ma pratica intensiva e confronto con atleti e coach professionisti, perché Los Angeles o Brisbane non restino più solo un miraggio.
*Presidente Fondazione FightTheStroke