FightTheStroke

View Original

Centri estivi: perché sono ancora così pochi quelli inclusivi?

C'è chi nega l'iscrizione ai bambini con disabilità, chi chiede che la famiglia paghi un educatore professionale, chi fa pagare una quota aggiuntiva. E chi accetta i ragazzi, ma poi non è in grado di gestirli. La ricerca di centri estivi capaci di essere inclusivi non è così facile. Le buone prassi però ci sono...

È arrivato il periodo dell’anno in cui molte famiglie si trovano a fare i conti su come garantire ai propri figli con disabilità l’accesso ai campi estivi, occasione educativa importante e salvifica valvola di sfogo. Le proposte non sempre sono adeguate, così che spesso la presenza fisica dei ragazzi non corrisponde alla loro partecipazione in condizioni di pari opportunità con gli altri bambini, mentre d’altra parte permane il fenomeno del rifiuto all’inserimento di bambini e ragazzi con disabilità a più alta complessità. Sebbene a macchia di leopardo ci siano nel paese alcune buone prassi che si stanno consolidando, a livello nazionale le criticità non sono poche.

Roberto Speziale

Per Roberto Speziale, presidente nazionale Anffas, un altro fenomeno assai discutibile è quello relativo, in taluni casi, alla richiesta alle famiglie di una maggiore contribuzione rispetto alle quote ordinarie motivata dal fatto che, in presenza di uno o più bambini con disabilità, i soggetti che organizzano tale attività sono chiamati a sostenere maggiori oneri. «Da questo punto di vista, è evidente come in molti centri estivi, sia pubblici che privati, permangono condotte potenzialmente discriminatorie, contrastanti con il diritto all’inclusione su base di pari opportunità con gli altri, sancito peraltro dalla Convenzione Onu sui Diritti dell'infanzia e dell'adolescenza nonché dalla Convenzione Onu sui Diritti delle persone con disabilità», afferma Speziale. «A tal proposito, segnaliamo che anche per quest’anno il Ministero dell’Istruzione ha confermato il Piano Scuola Estate finalizzato a “coinvolgere studentesse e studenti, su base volontaria, da giugno a settembre […] come momento di costruzione dell’innovazione didattica, delle attività laboratoriali delle scuole, delle buone pratiche e degli esempi inclusivi”. Nella Nota ministeriale diramata lo scorso 11 maggio alle scuole, si legge che, per le diverse attività previste dal Piano, vi è la “necessità che in esse siano sempre accolti, in modo fattivo, gli alunni con disabilità”. Inoltre, in un’ottica di sinergia con il territorio, è stabilito che per i progetti proposti e finalizzati a promuovere, nel caso specifico, l’inclusione di studenti con fragilità, le attività possano essere realizzate “anche in rete tra loro e con il coinvolgimento di enti locali, enti di ricerca, soggetti pubblici o del terzo settore”. Alla luce dell’attenzione così posta dal Piano sul tema della disabilità, non possiamo che esprimere soddisfazione ed affermare come la strada intrapresa sembri andare nella giusta direzione a condizione, tuttavia, che nella pratica tali attività corrispondano concretamente a quanto previsto sulla carta».

In Italia mancando i dati sulla disabilità

Entriamo quindi nel merito e cerchiamo intanto di partire dai dati di contesto. Dati che, incredibilmente, non esistono. «Non ci sono dati sulla disabilità in Italia», denuncia Francesca Fedeli, che con il marito Roberto D’Angelo ha fondato FightTheStroke, realtà che insieme a Sheldon Studio e all’associazione Ondata ha avviato una mappatura dei dati che riguardano una popolazione con disabilità, che dovrebbe aggirarsi attorno al 5,2% della popolazione totale.

Francesca Fedeli

«Un dato che comunque andrebbe ulteriormente contestualizzato in quanto si riferisce a persone “con limitazioni gravi” e si sa che invece la disabilità ricopre uno spettro molto ampio di casistiche». Il portale Disabilità in cifre di Istat è teoricamente il primo punto di riferimento, peccato che fino a qualche settimana fa non era nemmeno più online e solo dopo la sollecitazione della campagna “Dati bene comune”, entro cui si inserisce anche la richiesta di FightTheStroke, è tornato consultabile. Da qui, il percorso verso fonti attendibili e di agevole lettura è stato tutto in salita.

Esempi virtuosi di campi inclusivi

Per fortuna, però, oltre i (non) dati, ci sono esempi virtuosi che - con particolare riferimento al tema dei campi estivi inclusivi - segnano la strada giusta da seguire. «È necessaria una soluzione sistemica per dare una risposta univoca, perché il Terzo settore arriva dove può. Ma come esiste l'inclusione all'interno della scuola, almeno per quella dell'obbligo, così anche in estate non ci si dovrebbe dimenticare della necessità di un supporto ad hoc a garanzia di bambini e ragazzi, perché solitamente i servizi, dove ci sono, si interrompono con la fine della scuola primaria», prosegue Fedeli. «Per quanto ci riguarda, per l’estate 2022, alle nostre consuete proposte, affianchiamo una novità ovvero finanziamo la figura di un istruttore sportivo di sostegno all'interno di una struttura di Milano che conosciamo bene, PlayMore!, per consentire a più famiglie di accedere alle attività».

Luigi Mazzone

Progetto Aita Onlus è invece presente sul territorio nazionale con un modello inclusivo rivolto in particolare al disturbo dello spettro autistico: «La nostra forza riguarda il network che si stabilisce tra i diversi camp italiani che hanno un coordinatore nazionale, la dottoressa Laura Fatta, e dei coordinatori locali per ogni sede», spiega il presidente Luigi Mazzone, direttore della UOSD di Neuropsichiatria Infantile del Policlinico Universitario Tor Vergata. «Nel caso di Progetto Aita abbiamo formato dei tutor che con un rapporto di 1 a 1 o 1 a 2 seguono i bambini e li accompagnano nel percorso ludico-sportivo. Prima del Covid c'erano 11 sedi in tutta Italia, purtroppo gli ultimi due anni hanno messo il nostro sistema in sofferenza ma nonostante tutto abbiamo organizzato i camp a Roma e Catania anche nel 2020 e 2021 e quest'anno ripartiamo con 5 sedi (Napoli, Bari, Catania, Cagliari e Roma). Solamente a Catania accoglieremo oltre 40 bambini autistici nel campo che organizziamo in collaborazione con il Cus Catania».

Carlo Riva

È bene che enti locali ed enti del Terzo settore creino alleanze per creare centri estivi inclusivi, che siano davvero momenti educativi, di gioco e di socializzazione per tutti i bambini e ragazzi e di sollievo per le loro famiglie. Tutte le parti devono mettere a disposizione le proprie competenze. In questo modo le risorse sarebbero spese in maniera mirata su realtà che sono in grado di garantire servizi di qualità e che possono, con l’appoggio dell’ente locale, aprirsi al territorio accogliendo tutti. L’abilitàper il terzo anno di fila attiva centri estivi inclusivi con questo modello, basato su un’alleanza con l’ente locale, in cui entrambi i protagonisti mettono risorse e competenze. «La nostra proposta per l’estate 2022 è un centro estivo a Triuggio, in provincia di Monza e Brianza, tra giugno e luglio, destinato ai bambini che frequentano alcuni dei nostri servizi», spiega il direttore di L’abilità Carlo Riva. «Si tratta di laboratori creativi e esperienziali, attività sensoriali, escursioni nel bosco, pranzo all’aperto: queste sono solo alcune delle proposte. Tutte le attività saranno progettate nel rispetto delle peculiarità e delle necessità di ogni partecipante secondo quanto previsto dal metodo di L’abilità. Organizzare questo servizio lontano dal nostro territorio di appartenenza, presso la Cooperativa Canonica a Triuggio, ci dà la possibilità di lasciarci alle spalle la città e di scoprire luoghi nuovi immersi nella natura. Questo permette ai bambini di cimentarsi in esperienze inusuali ed arricchenti e di stare insieme in una dimensione nuova. Il centro diventa così anche un’occasione per garantire alle famiglie di tutti i bambini delle ore di sollievo, sia durante la giornata sia alla sera, perché i bambini torna a casa con una maggiore serenità e voglia di relazionarsi».

Il problema del linguaggio

C’è un punto su cui tutti concordano: il fatto che nella maggior parte dei casi la narrazione mainstream della persona con disabilità è molto stridente e lontana dalla realtà. O siamo di fronte ad un eroe, pensiamo ad esempio al mondo dello sport, o la persona è solo “sfortunata”. «Questo si vede anche dal lessico usato ancora dai mass media e di conseguenza da una grande percentuale di persone comuni: handicappato, disabile, ritardato, oppure eroe», dice Riva. «L’aggettivo prende il posto del sostantivo e si perde del tutto la “persona”. Non è narrata la “normalità”. La verità à che spesso la disabilità interessa solo chi la vive», aggiunge Mazzone. «Una considerazione amara ma spesso veritiera. Non sopporto la narrazione compassionevole e pietista. Spesso chi si pone in questi termini vive condizioni di immaturità affettiva e relazionale che a volte è molto più gravi di alcune forme di disabilità». A questo proposito, tra le attività realizzate da Anffas, si ricorda l’iniziativa che ha portato all’elaborazione con Intesa Sanpaolo della guida “Le parole giuste. Media e Persone con disabilità”.

Prospettive

«Purtroppo gli effetti della pandemia, già di per sé estremamente critici per la generalità dei cittadini, oltre ai drammatici effetti diretti sulla salute e sule condizioni di vita delle persone con disabilità e delle loro famiglie, in questi ultimi mesi sono stati aggravati da ulteriori elementi di forte preoccupazione, legati a fenomeni di vera e propria regressione rispetto alle competenze prima presenti ed acquisite dalle persone con disabilità, specie intellettive e del neurosviluppo, anche dal punto di vista dell’equilibrio psico-fisico», conclude Speziale. «Questo fenomeno di regressione sta emergendo con aspetti altrettanti critici ed inediti anche nei caregiver e nei siblings delle persone con disabilità, motivo per cui diviene urgente e non più procrastinabile ripristinare e potenziare adeguatamente la rete integrata dei servizi che sia in grado di rispondere agli effettivi bisogni delle persone con disabilità e dei loro familiari, centri estivi inclusi, ma anche avviare un grande piano nazionale atto a garantire sostegno psicologico o, in alcuni casi, di natura ancor più specialistica per rispondere a tali emergenti ed inedite criticità, prima che le stesse evolvano in situazioni ben più gravi e con conseguenze ad oggi neppure immaginabili».